Il Sole 24 Ore. Se uno Stato moderno deve avere, come vanno predicando da tempo i cultori della materia, non più di 10mila leggi, in questo momento il nostro Paese può dirsi affetto da obesità legislativa: ne ha dieci volte di più. Sono, infatti, quasi 110mila gli atti in vigore che regolano la nostra vita. Tra questi, più di 46mila decreti del presidente della Repubblica, oltre 33mila regi decreti, 14mila leggi, 7.200 decreti luogotenenziali, quasi 1.500 decreti legge.
Un misto di vecchio e nuovo: tipologie di atti che non esistono più da tempo -come i regi decreti, dismessi nel 1944, o i decreti luogotenenziali; ma nell’elenco figurano ancora in vita anche 21 decreti del “duce del fascismo” – convivono accanto ai provvedimenti a cui siamo più abituati, come i decreti, le leggi o i decreti legge. E già questo lascia intendere la complessità del problema, che non è solo di ipertrofia normativa, ma anche di disordine legislativo, con disposizioni che si sono sovrapposte nel tempo e che ora è molto difficile capire se abbiano un senso o meno.
L’unica certezza è il numero degli atti in vigore, che è possibile contare grazie a Normattiva, la banca dati che fa capo alla presidenza del Consiglio ma è operativamente gestita dal Poligrafico dello Stato. «Un database in continua evoluzione che contiene – spiega Luca Fornara, responsabile della Filiera giuridico-amministrativa del Poligrafico – gli atti numerati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale dal 1861 a oggi e rende possibile ricostruire la versione di un provvedimento a una certa data».
I 110mila atti vigenti messi in fila da Normattiva – che ha contato quasi 204mila provvedimenti pubblicati dall’unità d’Italia a oggi, di cui oltre 94mila espressamente abrogati – non sono, dunque, che una parte della produzione legislativa. All’appello, infatti, mancano le disposizioni regionali, quelle comunali, i decreti ministeriali non numerati, le circolari, la legislazione comunitaria.
Un intrico spaventoso che tra il 2009 e il 2010 si era cercato di disboscare con l’operazione taglia-leggi, che aveva portato alla potatura di più di 400mila provvedimenti, tra leggi, decreti e atti amministrativi.
«Tagliammo – ricorda Alfonso Celotto, professore di diritto costituzionale a Roma Tre e uno dei registi della grande sforbiciata come capo legislativo di Roberto Calderoli, all’epoca ministro della Semplificazione normativa – solo le disposizioni di cui avevamo certezza fossero inutili. Dopo quell’operazione la produzione legislativa è proseguita con ritmi normali, ma in modo confuso. Il vero problema è che si continua a fare ricorso, e lo si è fatto anche durante l’emergenza, a provvedimenti omnibus, dove ci si infila di tutto».
Un problema più volte rilevato anche nei monitoraggi dell’Osservatorio della legislazione della Camera, che registrano come molte riforme si gonfino di commi durante il passaggio parlamentare. E questo, se da un lato può dare atto del lavoro delle Camere, che non si limitano a ratificare le decisioni governative, dall’altro conribuisce alla frammentazione e al disordine del corpus legislativo.
In queste condizioni i cortocircuiti normativi sono dietro l’angolo – Celotto ricorda il recente caso delle imprese in concordato preventivo in continuità, che possono o meno partecipare ai bandi pubblici a seconda che si faccia riferimento al codice degli appalti o a quello della crisi – e le abrogazioni esplicite più difficili. Le cancellazioni implicite di norme contraddittorie, d’altra parte, ci sono pure – non si può, infatti, pensare che abbiano ancora un senso tutti gli oltre 33mila regi decreti – ma è complicato metterle a fuoco.
«Non resta – spiega Celotto -che rivitalizzare il lavoro sui codici, su cui si puntò dopo il taglia-leggi e che invece si è fermato. Alcuni codici ci sono, ma mancano in molti settori fondamentali. Per raccogliere le leggi in corpi omogenei occorre, però, creare un’alta commissione che lavori per 4-5 anni e poi fare in modo che le nuove norme si inseriscano in quei sistemi. Un obiettivo a cui il ricorso al digitale può dare una mano».