La riforma della Costituzione che martedì scorso ha ottenuto il via libera definitivo dalla Camera e ora imbocca la strada per il referendum confermativo riattiva le forbici per le indennità dei politici regionali, introducendo una regola molto diretta: presidenti, assessori e consiglieri regionali non potranno ricevere un’indennità superiore a quella prevista per il sindaco del Comune capoluogo.
Il principio è chiaro ed è figlio di un ragionamento semplice: per compiti e impegno richiesto il sindaco di una città medio-grande, che gestisce bilanci anche di miliardi di euro, non conosce rivali, e quindi la sua busta paga non può essere superata da chi magari siede fra i banchi dell’opposizione in consiglio regionale e conduce una vita politica accesa sul piano della polemica, ma abbastanza tranquilla su quello delle responsabilità.
Anche sulle indennità della politica, però, le regole italiane hanno visto fiorire nel tempo un ampio spettro di variabili e gli effetti concreti di questo limite dipenderanno da due variabili. La prima è rappresentata dalla popolazione del capoluogo, perché gli stipendi dei sindaci cambiano in base alle fasce demografiche del Comune, e la seconda riguarda l’estensione del nuovo tetto: se oltre alle indennità coprirà anche i rimborsi, i suoi effetti saranno importanti, altrimenti si rivelerà in più di un caso una petizione di principio senza troppe conseguenze. Il cuore del problema, infatti, è nei dettagli. Vediamo perché.
Le buste paga dei politici regionali, già alleggerite dopo un lungo tira-e-molla con i governi di Berlusconi e Monti, poggiano su due pilastri: le indennità vere e proprie, che accanto a quella di base per i consiglieri regionali aggiungono quelle su misura per presidenti, assessori, capigruppo e così via, e le diarie riconosciute «per l’esercizio del mandato»: queste ultime, in quanto rimborsi, sono esentasse.
Per capire bene che cosa cambia a seconda di come si costruirà il tetto può essere utile prendere come esempio la busta paga di Sergio Chiamparino, il presidente della Regione Piemonte che già si è ridotto parecchio il compenso rispetto ai predecessori, attestandosi decisamente sotto anche i nuovi limiti (13.100 euro lordi) fissati dal decreto Monti dopo l’esplosione degli scandali nati con il caso Fiorito in Lazio e poi replicati in gran parte delle Regioni. Per effetto dei tagli già fatti, in linea con lo stato di salute dei conti non troppo brillante che il Piemonte si trascina da lunghi anni, guadagna 6.700 euro lordi, a cui si aggiungono 3.500 euro di rimborsi. Totale: 10.200 euro. Il parametro di riferimento introdotto dalla riforma costituzionale si incontra a 300 metri da Piazza Castello, a Palazzo di Città dove siede il sindaco Piero Fassino. Torino è una grande città, per cui si trova nella più alta delle fasce demografiche su cui è articolata la piramide delle indennità comunali: Fassino riceve 5.210 euro lordi al mese, ma la legge ordinaria gliene concederebbe fino a 7.798 (ridotti a poco più di 7mila negli anni più bui della crisi di finanza pubblica). Morale: se la legge, attuando la riforma costituzionale, fisserà un limite «tutto compreso», le entrate del governatore del Piemonte dovranno ridursi del 23,5%; se invece il tetto sarà limitato alle indennità, la busta paga regionale potrebbe salire del 16,4 per cento.
Un altro confronto aiuta a comprendere bene il gioco di specchi fra indennità e rimborsi. A Roma, in base ai dati più recenti pubblicati dalla Regione, il presidente Zingaretti ha l’indennità più alta nell’Italia a statuto ordinario, attestandosi ai tetti massimi imposti del decreto Monti: 10.300 euro (7.600 di indennità base e 2.700 per la funzione di governatore) e 3.500 di rimborsi. A Catanzaro, invece, il suo collega di partito e di ruolo Mario Oliverio si accontenta di un’indennità da 7.800 euro, ma la puntella con 6mila euro di rimborsi al mese, con la conseguenza che la sua entrata netta è più consistente di quella di Zingaretti. Certo, Catanzaro non è Roma, e quindi l’applicazione della nuova regola costituzionale taglierebbe in ogni caso i compensi del presidente calabrese, ma la sforbiciata sarebbe del 63,7% se comprendesse tutte le voci, mentre si fermerebbe al 35,8% limitandosi all’indennità. La regola degli abitanti colpisce in modo ancor più duro il Molise, dove il capoluogo non arriva a 50mila abitanti e l’adeguamento del presidente allo stipendio del sindaco potrebbe comportare un taglio vicino al 70 per cento.
Una partita a sé, come sempre, è quella giocata dalle Regioni autonome. Da questo punto di vista le scelte di Arno Kompatscher hanno allontanato molto la Provincia di Bolzano dalle vette delle indennità, e gli effetti più pesanti della nuova regola arriverebbero in Valle d’Aosta, con una riduzione delle indennità fino al 65,2 per cento. Bisognerà vedere, però, se le Autonomie speciali decideranno di buon grado di allinearsi alle regole nazionali.
Gianni Trovati – Il Sole 24 Ore – 18 aprile 2016