La Funzione pubblica nella nota 41876 diffusa ieri risponde alla Regione Veneto.La funzione pubblica ribadisce il vincolo grazie alla disposizione interpretativa contenuta nel decreto 101/2013. Gli uffici devono riprendere i propri provvedimenti che erano stati fermati in autotutela dopo la sentenza 2446 del Tar. In pensione a 65 anni, o a 70 quando lo prevedono regole di settore come accade nell’università o nella magistratura. La via è obbligata, e non ammette eccezioni, per i lavoratori del pubblico impiego che al 31 dicembre 2011 avevano raggiunto un qualsiasi requisito pensionistico (anzianità o vecchiaia) precedente alla riforma Fornero, e che di conseguenza non possono veder spostato in avanti il calendario del proprio «collocamento a riposo» in virtù delle nuove regole.
Rispondendo a una richiesta di chiarimenti avanzata dalla direzione risorse umane della Regione Veneto, il dipartimento della Funzione pubblica, nella nota 41876 diffusa ieri e firmata dal capo dipartimento Antonio Naddeo, ribadisce le indicazioni offerte a suo tempo dalla circolare 3/2012, ma lo fa con un’arma più potente: il richiamo all’articolo 2, commi 4 e 5 del decreto sul pubblico impiego (Dl 101/2013), pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale» del 31 agosto scorso, che ha fissato per legge l’interpretazione fornita all’epoca dalla Funzione pubblica sull’obbligatorietà del collocamento a riposo nonostante i nuovi requisiti introdotti dalla riforma Fornero. Proprio da quella circolare era sorto un forte contenzioso, che aveva trovato la miccia al ministero della Giustizia ma aveva interessato tutti i settori del pubblico impiego. Con la sentenza 2446 del 2013, il Tar del Lazio aveva dato ragione a un dipendente di Via Arenula che contestava il collocamento a riposo, e aveva quindi ottenuto dai giudici amministrativi la possibilità di fermarsi al lavoro fino al raggiungimento dei nuovi parametri. La nuova regola, contenuta al momento in un decreto legge ovviamente in attesa di conversione, è interpretativa e quindi ha valore retroattivo, chiudendo per ora la possibilità di altre controversie.
Tutto nasce da un incrocio fra le regole che, per ridurre la spesa di personale delle pubbliche amministrazioni, avevano spinto al collocamento a riposo obbligatorio per chi avesse raggiunto i requisiti previdenziali, e quelle (la riforma Fornero ap7 Le regole sul collocamento obbligatorio a riposo dei dipendenti pubblici che hanno raggiunto i requisiti previdenziali sono state introdotte dall’articolo 72, comma 11, del Dl 112/2008. Il problema applicativo si è aperto con la riforma previdenziale contenuta all’articolo 24 del Dl 201/2011 punto) che per alleggerire gli oneri delle pensioni ne avevano cambiato i parametri. Nella sua pronuncia il Tar aveva ammesso che sia l’interpretazione della Funzione pubblica sia quella del dipendente avevano fondamento, ma aveva optato per quest’ultima “preferendo” la tutela del diritto individuale alla permanenza in servizio. La nuova norma chiude la questione, con l’effetto dunque di indurre le amministrazioni a far “rivivere” i collocamenti a riposo che avevano annullato in autotutela dopo la pronuncia del Tar.
Stop al rinvio della pensione per restare in servizio fino a 70 anni
Gli impiegati pubblici che hanno maturato un qualsiasi diritto a pensione entro l’anno 2011 infatti «devono» essere licenziati dalla p.a. Lo afferma la Funzione pubblica nella nota prot. n. 41876/2013, spiegando che il dl n.101/2013 ha restituito validità alla circolare n.2/2012 annullata dal Tar Lazio.
I lavoratori che hanno maturato il diritto alla pensione pertanto devono mettersi a riposo, non avendo più la facoltà di chiedere la permanenza in servizio fino al limite ordinamentale.La questione è scaturita dalla riforma delle pensioni Fornero del 2011.
Con riferimento al settore del pubblico impiego il dl n.201/2011 (convertito in legge n.214/2011: la riforma Fornero) ha previsto una deroga stabilendo che continua a valere la vecchia disciplina per quei dipendenti che maturino i requisiti di pensione entro il 31 dicembre 2011. La deroga è stata spiegata dalla Funzione pubblica nella circolare n. 2/2012 condivisa con i ministeri del lavoro, dell’economia e della p.a., nonché con l’Inps (si veda ItaliaOggi del 9 e 10 marzo 2012).
Da quella deroga la circolare ne aveva tratto l’obbligo a carico delle p.a. di collocare a riposo, a partire dall’anno 2012, al compimento di 65 anni (limite ordinamentale), i dipendenti in possesso nell’anno 2011 della massima anzianità contributiva (40 anni) o della quota 96 o comunque dei requisiti per una pensione, in tal modo abrogando implicitamente anche la facoltà della permanenza in servizio fino a 70 anni.
Successivamente, però, la circolare è stata annullata dal Tar del Lazio che con la sentenza n.2446/2013 ha riabilitato la possibilità per i dipendenti pubblici di rimanere in servizio fino a 70 anni (si veda ItaliaOggi del 25 giugno 2013).
A mettere la parola fine, però, ci ha pensato il dl n.101/2013.Come conferma adesso la Funzione pubblica nella nota in risposta al quesito della regione Veneto, il decreto dà l’interpretazione autentica alla deroga della riforma Fornero con la duplice conseguenza di riabilitare, da un lato, le indicazioni della Funzione pubblica fornite nella circolare n.2/2012 e si far decadere, dall’altro, il dispositivo della sentenza Tar del Lazio.
Il dl n.101/2013 precisa, in particolare, che la deroga della riforma Fornero va interpretata nel senso che «per i lavoratori dipendenti delle pa il limite ordinamentale (…) costituisce limite non superabile, se non per il trattenimento in servizio o per consentire all’interessato di conseguire la prima decorrenza utile della pensione ove essa non sia immediata al raggiungimento del quale l’amministrazione deve far cessare il rapporto di lavoro o di impiego se il lavoratore ha conseguito, a qualsiasi titolo, i requisiti per il diritto a pensione».
Il Sole 24 Ore e Italia Oggi – 18 settembre 2013