Dopo due anni di stasi, l’anno prossimo l’importo delle pensioni ritornerà a crescere, anche se di poco. Infatti è pari a +1,1% la percentuale di riferimento che si applicherà in via provvisoria da gennaio, come conseguenza della variazione dell’inflazione stimata nel 2017. Il decreto 20 novembre 2017 del ministero dell’Economia, di concerto con quello del Lavoro, pubblicato ieri in Gazzetta Ufficiale, ha fissato il tasso di variazione provvisorio da applicare il prossimo anno e contemporaneamente ha fornito quello definitivo per quest’anno, che è pari a zero.
La variazione degli importi degli assegni previdenziali in pagamento, che scatta all’inizio di ogni anno, infatti, è frutto di un doppio adeguamento: quello determinato dalla variazione percentuale definitiva relativa a due anni prima e quella provvisoria dell’anno precedente. Il ritocco che scatterà a gennaio quindi sarà la somma del +1,1% stimato per il 2017 e dello 0,0% del 2016.
Vale la pena ricordare che per la rivalutazione effettuata quest’anno e l’anno scorso è scattata la clausola di salvaguardia introdotta a fine 2015, in base alla quale l’indice di riferimento dell’inflazione, anche se negativo (negli ultimi due anni pari a -0,1%), viene riportato a zero in modo da non decurtare l’importo delle pensioni in pagamento.
Gli scaglioni
Tuttavia per effetto del meccanismo progressivo di rivalutazione degli assegni al costo della vita introdotto dal 2014 e in vigore anche l’anno prossimo, la rivalutazione effettiva sarà pari all’1,1% solo per gli importi più bassi. Le regole prevedono, infatti, che la variazione percentuale sia riconosciuta integralmente solo agli assegni di importo fino a tre volte quello del trattamento minimo (oggi pari a 501,89 euro). Chi può contare su un assegno di 1.000 euro lordi, passerà a 1.011 euro.
Chi invece incassa oltre 3 e fino a 4 volte il minimo ha diritto a un adeguamento del 95% dell’inflazione di riferimento, quindi nel 2018 beneficerà di un incremento dell’1,045 per cento. Oltre 4 volte e fino a 5 il tasso di retrocessione è del 75 per cento; oltre 5 e fino a 6 del 50%; oltre 6 volte del 45 per cento.
Il recupero dell’arretrato
A completamento di questo complicato meccanismo non va dimenticato che c’è ancora da recuperare un -0,1% relativo alla differenza tra inflazione di riferimento (indice Foi senza tabacchi rilevato dall’Istat) provvisoria e definitiva registrata nel 2014. Secondo le regole generali il recupero si sarebbe dovuto effettuare a inizio 2016, ma poiché ciò avrebbe comportato una riduzione degli assegni (perché il tasso provvisorio da applicare quell’anno era pari a zero), è stato rimandato a inizio 2017. Anche lo scorso mese di gennaio, però, si è riproposta la stessa situazione e quindi, dopo una prima ipotesi di spalmare il recupero in quattro rate, con l’articolo 3, comma 3 sexies, del decreto legge 244/2016 è stato deciso di posticiparlo ulteriormente al 2018.
Matteo Prioschi – Il Sole 24 Ore – 1 dicembre 2017