Non solo promesse mirabolanti, ma anche la pretesa di riuscire, a fine legislatura, a ridurre il pericolo numero uno della nostra economia, il debito pubblico. La navigazione di Repubblica all’interno dei programmi elettorali si avvale oggi di uno studio dell’economista Carlo Cottarelli e del suo Osservatorio sui conti pubblici presso l’Università cattolica di Milano.
I risultati dell’analisi danno la conferma analitica dei costi elevati e delle scarse coperture che investono in varia misura i programmi economici di Forza Italia, Lega, Cinque Stelle e, anche se in misura minore, il Pd. Ma c’è di più, l’Osservatorio di Cottarelli, che è stato commissario per la spesa pubblica dal 2013 al 2014, si è posto il problema di verificare quale saranno i target di bilancio per la prossima legislatura, ovvero dal 2018 al 2022, proposti dalle maggiori forze politiche: lo ha fatto consultando documenti ufficiali oppure chiedendo direttamente agli interessati.
Ebbene il risultato è che tutti i partiti, magari sullo sfondo o in una appendice di tabelle, prevedono una riduzione del rapporto debito- Pil oggi a quota 131,6% e oggetto delle reprimende di Bruxelles, Fmi e Bce. Forza Italia, ad esempio, dichiara di puntare su una riduzione del debito di una ventina di punti al 112,8% del Pil nel 2022 mentre la Lega si accontenta di 11 punti in cinque anni. Non meno ambizioso il Pd che nel suo piano di rientro fissa il punto di arrivo a fine legislatura a 118,4 e annuncia il risultato “ storico” di 100,6% del Pil per l’anno 2029. Le speranze dei Cinque Stelle sembrano andare ben oltre: il loro programma addirittura conta di abbattere il nostro mastodontico debito di 40 punti percentuali nei prossimi dieci anni, dunque nel 2028.
Che cosa c’è che non va in questi programmi? Forse l’aritmetica, se non peggio. Infatti per ridurre il debito la via maestra è quella di tagliare il deficit che si accumula ogni anno sul bilancio dello Stato, e invece gli stessi programmi, passati al setaccio da Cottarelli, garantiscono e sottoscrivono il contrario. Vediamo ad esempio le schede e le tabelle assemblate da Forza Italia: in cinque anni, a fine legislatura le risorse necessarie per far fronte alle promesse ( flat tax, reddito dignità, bollo auto ecc.) costano 136,2 miliardi mentre le risorse individuate si fermano a 82,4. Risultato: mancano all’appello quasi 54 miliardi che, se non saranno coperti, andranno a rimpinguare il deficit e il debito salirà al 135,8% del Pil smentendo l’obiettivo del 112,8. Insomma una sorta di gioco di prestigio che peraltro viene arricchito da altri dati positivi ma poco realizzabili: una crescita nominale del Pil ben superiore al 3 e fino al 4% nel 2022 e improbabili ricavi di 10 miliardi per privatizzazioni. Oscuro il gioco dell’avanzo primario: il programma di Forza Italia lo fissa ad un virtuoso 4% nel 2022 ma, a conti fatti, si trasforma in un disavanzo dello 0,9% del Pil: perché mancano all’appello, tra promesse da mantenere e tagli necessari per raggiungere l’obiettivo di avanzo primario, circa 101 miliardi.
Paradossalmente, il quadro macroeconomico proposto dalla Lega appare più coerente con lo spirito del programma elettorale del centrodestra. La Lega intende ridurre l’avanzo primario quasi a zero nei prossimi cinque anni, coprendo in deficit una buona parte delle promesse elettorali che sono senza copertura nel programma di Forza Italia ( sebbene anche nel quadro della Lega manchino coperture di 24 miliardi).
Resta però da chiedersi come sia possibile che i due principali partiti della coalizione di centrodestra abbiano piani di finanza pubblica così radicalmente diversi: Forza Italia sembrerebbe intenzionata a rispettare, più o meno, le regole europee puntando a un avanzo primario del 4% e al pareggio di bilancio nel 2022; la Lega violerebbe, palesemente e quasi provocatoriamente, le regole europee, con il quasi azzeramento del deficit e lo sforamento del tetto del 3%.
Anche il Pd ha problemi che passano tra l’intenzione di ridurre il debito e quella di fare nuove spese. Il programma, secondo lo studio di Cottarelli, costa (tra bonus figli, povertà, investimenti, cuneo fiscale ecc.) circa 38 miliardi per i quali «non sono previste coperture sufficientemente definite » . L’avanzo primario, il principale motore di riduzione del debito, resta modesto, al 2%, la metà di quello necessario secondo la Banca d’Italia e di quanto, in media, osservato nelle esperienze di altri paesi che sono riusciti a ridurre il debito. Tassi di interesse stimati troppo bassi, sottovalutazione del debito nei prossimi tre anni, crescita troppo pronunciata e cumulo delle promesse, alla fine del percorso porterebbero il debito- Pil a quota il 134,8% nel 2022 (invece del 118,4 previsto).
Tengono ancora di meno le promesse dei grillini alla verifica del contraddittorio percorso tra aumento della spesa e riduzione del debito. Come accennato il debito dovrebbe diminuire di 40 punti in dieci anni, cioè al 91,6% del Pil nel 2028. Anche in questo caso la dichiarata intenzione di considerare un deficit superiore di 10-15 miliardi a quello previsto dal governo per quest’anno ( anche se al di sotto del “ vetusto e stupido” parametro del 3%) non aiutano. L’esempio dell’Osservatorio è che con un deficit al 3% per raggiungere l’obiettivo di abbattere il debito di 40 punti ci vorrebbe una crescita nominale ( dunque inflazione compresa) del 7,7% nella media dei prossimi 10 anni. Visto che non ci riescono neppure i cinesi non ci riuscirà il M5S, anche perché promette circa 103,4 miliardi di misure e deve reperire ancora 64,2 miliardi di coperture sulla sua tabella di marcia.
La Repubblica – 19febbraio 2018