L’Italia non può continuare a vivere nella conflittualità permanente che permea il confronto tra le forze politiche e sociali. Clima incompatibile con le sfide impegnative che incalzano il Paese
E cioè consolidamento dei conti pubblici, crescita più sostenuta, allarmante disoccupazione giovanile. Problemi che ieri il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha richiamato ancora una volta nelle celebrazioni (anticipate di un giorno) per il 1° maggio al Quirinale, accompagnando le sue parole con un avvertimento supplementare: accogliere o fare propri i suoi richiami non può essere «una questione di galateo istituzionale o un esercizio di ipocrisia istituzionale». Si tratta di problemi veri, è la sottolineatura del capo dello Stato, e l’«attuale grado di conflittualità» non è una condizione ineluttabile alla quale ci si può rassegnare. Al contrario: l’«individuazione di interessi e di impegni comuni» è possibile.
Napolitano ha tenuto ieri il suo discorso celebrativo della Festa del lavoro davanti a esponenti politici (compreso quelli del Governo con il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi) e sindacalisti. A loro direttamente ha voluto porre domande che sono un richiamo alla responsabilità di ciascuno: c’è in tutti voi, ha chiesto il capo dello stato, «piena consapevolezza» dei problemi e «spirito propositivo» per risolverli? «Tra le condizioni di successo di un programma necessariamente ambizioso e innovativo – ha infatti affermato il presidente della Repubblica – c’è certamente quella dell’avvio di un nuovo clima di coesione sia politica sia sociale». Non si tratta, è chiaro, di azzerare i «naturali contrasti» tra imprese e lavoratori o i «motivi di attrito e competizione» tra le organizzazioni sindacali oppure tra le forze politiche. Tutto questo rientra nella fisiologia dei rapporti. Napolitano si riferisce ad altro: a quella strana paura di un «eccesso di consensualità» che fa temere il rischio di una «cancellazione dei rispettivi tratti identitari e ruoli essenziali». E che porta all’attuale, insostenibile grado di conflittualità.
Occorre, invece, non smarrire il senso del proprio ruolo e operare per dare «le risposte da noi tutti dovute alle aspettative per il futuro delle giovani generazioni». «Lo sviluppo economico e la sua qualità sociale, la stessa tenuta civile e democratica del nostro Paese, passano attraverso un deciso elevamento dei tassi di attività e di occupazione, un accresciuto impegno per la formazione e la salvaguardia del capitale umano, un’ulteriore valorizzazione del lavoro, in tutti i sensi» ha scandito Napolitano. È l’articolo 1 della Costituzione (al centro della relazione svolta da Giuliano Amato), «l’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro»: «Il problema di oggi non è esserlo di meno, è casomai esserlo di più» ha detto il capo dello stato. Un discorso che oggi «riguarda in special modo i giovani». A preoccupare sono i dati sulla fascia di età 15-29 anni che descrivono «due milioni di giovani fuori di ogni tipo di occupazione, ormai fuori dal ciclo educativo e non coinvolti nemmeno in attività di formazione o addestramento».
Come se ne esce? L’imperativo è intervenire sulle «cause strutturali di ritardo della nostra economia» e farlo rispettando gli obiettivi «tanto obbligati quanto ardui, concordati in sede europea, di rientro dell’Italia dalla situazione di disavanzo eccessivo e di riduzione del peso del debito pubblico». Tutto questo è possibile ma a una condizione: che si avvii «un nuovo clima di coesione sia politica sia sociale». Un appello che Napolitano ha più volte rivolto agli attori pubblici. Senza esito. Il presidente della Repubblica ne è consapevole e lo dice: «Sembra quasi, talvolta, che l’accogliere oppure no, il far propri sinceramente oppure no quei miei richiami, o comunque si vogliano definirli, sia una questione di galateo istituzionale o un esercizio di ipocrisia istituzionale. Ma è ai fatti, e alle conseguenti responsabilità, che sempre meno si potrà sfuggire senza mettere a repentaglio» il comune interesse nazionale e «pagare prezzi pesanti in termini di consenso».
Agli «amici delle organizzazioni sindacali», ospiti d’onore, Napolitano rivolge un monito ancor più diretto: «Permettetemi di esprimere preoccupazione crescente dinanzi al tradursi dei contrasti in reciproche animosità e diffidenze, in irriducibili ostilità». Rinunciare allo sforzo di una posizione comune «può portare solo al peggio» i lavoratori e i loro rappresentanti.
Ilsole24ore.com – 1 maggio 2011