I rischi potenziali derivanti dall’impiego di nanomateriali sono tuttora oggetto di studi e valutazioni scientifiche da parte dell’EFSA e delle agenzie sanitarie nazionali. Le nanotecnologie sono un filone di ricerca di cui l’IZSVe si sta occupando dal 2011. Da allora l’attività di ricerca ha da subito evidenziato la necessità di sviluppare metodi analitici ad hoc per rilevare la presenza di nanoparticelle negli alimenti.
Nanomateriali, valutazioni scientifiche in corso
Quando l’industria cosmetica ha capito che il velo bianco lasciato dalle creme solari sulla pelle poteva non risultare molto gradito esteticamente, ha pensato bene di farlo diventare trasparente. Come? Utilizzando il biossido di titanio (TiO2) che agisce da filtro solare nella forma “nano”, cioè ridotto a dimensioni molto piccole dell’ordine di pochi nanometri (1 milionesimo di millimetro). Purtroppo diversi studi successivi hanno però evidenziato che le creme solari così composte possono rappresentare una fonte di inquinamento per le acque di superficie e balneazione [1, 2].
Il biossido di titanio non è la sola sostanza chimica “nano” all’attenzione dei ricercatori: ci sono anche oro, argento, zinco… solo per citarne alcuni. Molteplici possono essere le loro applicazioni attuali e future in diversi ambiti e prodotti di consumo. Secondo l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) un eventuale impiego volontario – o accidentale – di nanoparticelle (NPs) anche in alimenti e mangimi, nonché il loro accumulo nella catena alimentare a causa di inquinamento ambientale, potrebbero rappresentare un rischio per i consumatori [3, 4].
I rischi potenziali derivanti dall’impiego di nanomateriali sono tuttora oggetto di studi e valutazioni scientifiche da parte dell’EFSA e delle agenzie sanitarie nazionali; per l’Italia, da anni se ne stanno occupando il Ministero della Salute, l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e alcuni centri di ricerca tra cui l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe)