Ecco una guida per orientarsi tra titoli di Stato a lunga o a breve scadenza, tra Bund tedeschi e valute straniere. Senza escludere il classico mattone
Btp a 10 anni Oscillazioni di prezzo e cedole generose Non devono superare il 5% del portafoglio I Btp «lunghi», i titoli del Tesoro con scadenze decennali, sono il simbolo della crisi. L’ossessivo controllo dello spread, cioè della distanza di rendimento tra noi e la Germania, fa infatti riferimento alle emissioni che scadono nel 2022. Come deve maneggiarle un piccolo risparmiatore? Con prudenza e in dosi non eccessive. Perché il Btp con l’abito lungo è volatile – cioè portato a violenti su e giù dei prezzi – e restituisce il capitale tra dieci anni, un lasso di tempo che alla luce dell’incertezza assoluta in cui viviamo sembra un’eternità. Due numeri per spiegare meglio che cosa vuol dire volatile: ieri il decennale primo marzo 2022 ha raggiunto il minimo di prezzo (poco più di 94) della sua pur breve vita (è stato emesso nel marzo 2012) e il massimo di rendimento: 6,33% lordo.
Chi lo ha comprato in asta, a 100, lo ha visto schizzare anche a 105 nei giorni relativamente felici della falsa primavera in cui lo spread era sceso anche sotto i 300 punti. Averlo significa quindi tenere uno strumento che può avere in pochissimo tempo oscillazioni di prezzo enormi, che sono pericolose se chi lo ha comprato decide di vendere nel momento sbagliato, cioè quando le quotazioni sono in cantina. Con il Btp decennale (e con quelli che scadono fra venti, trent’anni) si portano però a casa cedole molto generose: il 5,5% lordo annuo per il Btp marzo 2022. Chi quindi è interessato ad incamerare flussi importanti durante l’anno deve prendere in considerazione anche il decennale, ma per non più del 5% del portafoglio complessivo, che deve contenere anche titoli brevi e che non può essere fatto solo di debito pubblico italiano.
Btp fino a 5 anni Rendimenti contenuti ma coprono l’inflazione La quota può valere il 15% del patrimonio I Btp brevi, con scadenze inferiori a cinque anni, conservano un profilo di rischio rendimento interessante, nonostante tutto. A differenza di quanto accadeva in novembre 2011 – e non è una differenza da poco – i loro rendimenti continuano ad essere più bassi di quelli dei titoli lunghi. La curva dei rendimenti non è quindi «malata» – come quando i Bot e i decennali dovevano pagare indifferentemente al mercato il 7-8% – e ha retto (per ora) la nuova ondata di panico. A un anno il Tesoro italiano paga poco meno del 3% lordo, a due il 4,38%, a tre il 4,89%, a cinque il 5,75%. In un portafoglio equilibrato la quota di Btp brevi può arrivare fino al 15%, assicurando un rendimento netto (pagate le tasse al 12,5%) che copre l’inflazione nazionale (3% circa) e lascia qualcosa in tasca nel caso dei quinquennali.
Per il resto del portafoglio ognuno deve cercare la miglior diversificazione possibile, spaziando anche tra corporate bond ed emissioni in altre valute. Senza dimenticare che ormai la massima sicurezza delle triple A europee e del Tesoro svizzero è giunta al paradosso dei rendimenti negativi. «Nel caso abbiate acquistato titoli di Stato tedeschi a due anni di recente emissione e decidiate di portarli a scadenza fino al 2014, sappiate che riceverete indietro meno di quanto avete investito», avverte Chris Iggo, responsabile degli investimenti obbligazionari di Axa im. Una cosa difficile da spiegare ad eventuali marziani in arrivo sulla terra, dice ancora Iggo. Entro la fine di questa settimana è prevista una nuova asta di Bot semestrali (che oggi rendono l’1,81%) e che sarà una prova del nove molto importante per capire se la tenuta della curva italiana non è un miraggio.
Conti di deposito Il «parcheggio» facile della liquidità con un 3% netto e l’aliquota al 20% Il parcheggio più facile (e più redditizio) a breve termine resta quello dei conti di deposito, che continuano ad offrire in media circa il 3% netto a chi tiene i soldi fermi per un anno o più, nonostante il taglio dei tassi e la politica meno generosa delle banche che offrono ai privati questo tipo di prodotti, nella maggioranza dei casi gestibili via Internet dal salotto di casa. Chi pensa di aspettare la fine dell’estate prima di prendere decisioni di investimento può cercare tra le offerte e le promozioni estive, facendo bene attenzione a capire per quanti mesi vengono concessi i privilegi di un tasso più elevato del solito. Ma lì i soldi sono al sicuro? Sì, se è sufficiente la considerazione che questi conti sono garantiti da un fondo apposito fino a 100 mila euro e se diamo per scontata l’idea che, pur soffrendo ancora a lungo, il sistema finanziario dell’euro, fatto di banche e governi, regga l’urto della crisi. I rendimenti di questi conti, che sono senza spese e sopportano un’aliquota al 20%, sono elevati perché la fame di liquidità delle banche è sempre molto forte e quindi un deposito, anche se piccolo, vale oro e viene pagato molto più di quanto non accadrebbe se in questo momento non ci fosse la crisi del debito in atto e il sistema bancario in debito di ossigeno. A chi si domanda se non sia il caso di aprire conti in dollari o franchi svizzeri va detto che in una situazione come questa è comunque saggio avere di tutto un po’, mentre le decisioni massimaliste (tutto in dollari, tutto in franchi svizzeri) rischiano di essere pericolose e poco redditizie.
Azioni A Piazza Affari è tempo di saldi Ma meglio aspettare a vendere e comprare Titoli ad alto dividendo, multinazionali con la capacità di crescere là dove le economie non sono ancora mature, aziende di nicchia con un business a prova di crisi. Sulla carta le opportunità per investire sui mercati azionari, soprattutto sui bastonatissimi mercati europei, non mancano. Quello che manca – e la giornata di ieri ne è stata l’ennesima dimostrazione – è l’appetito per il rischio degli investitori, che ieri hanno scaricato sui mercati azionari tutte le loro preoccupazioni. Colpendo non solo i soliti titoli bancari, ma un po’ tutto il catalogo. E tutti i listini: Francoforte alla fine ha perso più di Milano e di Madrid.
Le cattive notizie che le Borse stanno scontando non sono solo le lentezze dell’euro, ma anche i timori di una frenata globale che coinvolga gli Stati Uniti e i Paesi Emergenti. Ieri, per esempio, i due colossi Coca Cola e McDonald’s, due big del consumo alimentare di massa, hanno riportato dati meno brillanti rispetto all’anno passato e deluso le stime del mercato. Nulla di drammatico, ma ogni scricchiolio di questi tempi ha un suono più sinistro del solito. Che fare? I portafogli da mesi sono scarichi di azioni, le quotazioni sono super depresse ma i saldi non sono un motivo sufficiente per farsi avanti, secondo molti investitori. Meglio quindi restare fermi, senza disfarsi di posizioni piccole e strategicamente pesate in un portafoglio diversificato ma anche senza lanciarsi in acquisti avventati. Aspettando segnali migliori. Dall’euro e dal resto del mondo.
Immobili Prima casa, l’acquisto è una buona scelta Difficile la gestione delle locazioni In una fase di incertezza come questa l’investimento immobiliare può essere considerato un rifugio sicuro per i propri risparmi? Bisogna intendersi sul significato di investimento immobiliare: un conto è se con l’espressione ci si riferisce all’idea di comprare una casa per uso diretto, tutt’altra storia invece se si sottintende l’acquisto per mettere a reddito l’immobile affittandolo. Acquisire un appartamento in cui vivere oggi, se si dispone della liquidità necessaria o comunque di risorse che consentano di tenere al minimo il peso del mutuo, è come sempre consigliabile, perché la tassazione è tutto sommato contenuta (l’Imu sull’abitazione principale per le case di livello medio è quasi sempre contenuto) e l’acquisto consente di fatto di incamerare un dividendo mensile rappresentato dal risparmio dell’affitto.
Le prospettive di mercato sono sì di un ulteriore sia pur limitato calo delle quotazioni ma se si trova un immobile che risponda alle proprie esigenze a un prezzo abbordabile e non si pretende di ottenere un guadagno in conto capitale nel giro di un paio di anni l’acquisto è consigliabile. Pollice verso invece per l’acquisto finalizzato alla locazione: i rendimenti sono inferiori di circa due punti rispetto a quelli dei titoli di Stato, la tassazione è molto elevata sia per l’acquisto sia per la gestione; oltre all’Imu bisogna infatti mettere in conto l’Irpef sui redditi o in alternativa la cedolare secca, che però impedisce l’aggiornamento annuo del canone e con l’inflazione che viaggia sopra il 3% è un problema serio; infine il rischio di imbattersi in un inquilino inadempiente non si può trascurare. Tralasciamo una terza ipotesi: comprare e tenere la casa vuota. Sarebbe un esercizio di masochismo finanziario.
Il mutuo Il dilemma del tasso fisso o variabile, tra rischio default e ripresa dell’economia Come impatta la crisi sui mutui? Chi ha in corso un mutuo variabile da più di anno può solo fregarsi le mani per come stanno andando le cose: il costo sia dell’Euribor sia del tasso ufficiale della Bce, cioè dei parametri che determinano l’importo della rata sono ai minimi storici e, salvo un tracollo finanziario che porti alla fuoruscita dell’Italia dall’Euro o, al contrario, a un’improbabile ripresa dell’economia talmente impetuosa da costringere l’istituto di Francoforte a una forte stretta sui tassi per i prossimi mesi la situazione non dovrebbe cambiare. Nessun problema nemmeno per chi ha il tasso fisso. La questione invece diventa molto più complessa per chi il mutuo lo deve ancora fare perché qui entra in gioco il fattore spread, che nel caso specifico non è quello tra Bund e Btp ma la maggiorazione che le banche chiedono rispetto ai parametri del prestito. Oggi sia sul variabile che sul fisso (di norma ancorato all’Eurirs, un indice del costo del denaro sul lungo periodo) la maggiorazione parte da un minimo di tre punti percentuali. Significa pagare i mutui fissi attorno al 6% e i variabili sotto il 4% ma correndo l’alea che un rialzo del costo del danaro faccia schizzare alle stelle la rata. Che fare quindi? Per rispondere non si può prescindere dagli aspetti psicologici che la scelta del mutuo comporta. Se si ha paura del futuro bisogna puntare sul fisso; se invece si sarebbe disposti a correre rischi bisogna valutare la sostenibilità della rata variabile: se il potenziale debitore è in grado di pagare una somma pari alla rata calcolata ai valori di oggi più almeno il 30-40% può scegliere l’indicizzato, altrimenti deve ripiegare comunque sul fisso.
a cura di Francesca Basso, Giuditta Marvelli, Gino Pagliuca
24 luglio 2012 Corriere della Sera