Il Consiglio di Stato dà ragione al ministero: esclusa la possibilità di rinegoziarle sulla base della legge 44/2012. In ballo circa 700 milioni di euro: chi non paga rischia anche la revoca delle quote. La legge n. 44/2012, varata un anno fa dal Governo Monti per dare un po’ di respiro ai debitori della Pubblica amministrazione, concedendo la possibilità di scaglionare il pagamento con rate variabili in funzione della ridotta capacità di saldare il conto a causa della crisi economica, non si applica alle multe latte arretrate. La vecchia rateizzazione non si tocca, né si riaprono i termini per chi ci avesse ripensato; e per chi non ha pagato anche una sola rata, oltre a decadere dal diritto alla rateizzazione, scatta come penale anche la revoca delle quote latte aggiuntive.
E’ questo il responso del Consiglio di Stato, al quale si era rivolto la scorsa estate il ministero delle Politiche agricole, su sollecitazione della direzione di Agea. Secondo tale parere, la normativa nazionale sarebbe in contrasto con il dispositivo previsto dalla legge n. 33/2009.
Si tratta della norma con la quale l’Italia aveva recepito l’accordo raggiunto a Bruxelles nel 2008, quando l’allora ministro delle Politiche agricole, il leghista Luca Zaia, aveva ottenuto per l’Italia un consistente aumento della quota latte nazionale (circa 600mila tonnellate), girate poi come priorità proprio agli allevatori più multati, in cambio dell’impegno a pagare le multe nel frattempo accumulate.
Per il saldo del debito, Bruxelles aveva avallato un periodo molto ampio – per gli importi più elevati si poteva arrivare anche fino a 30 anni – con rate costanti e con importi e interessi fissi. Paletti più rigidi, rispetto alla maggiore flessibilità della citata legge 44, che prevede anche la variabilità della rata a seconda delle condizioni di solvibilità del singolo debitore.
Ed è proprio questo contrasto sulle modalità di rateizzazione, si deduce dalle argomentazioni richiamate nel parere espresso, a escludere l’applicabilità della legge 44/2012 ai conti in sospeso sulle multe latte.
Il debito degli allevatori nei confronti dello Stato, che nel frattempo ha già subito la “trattenuta alla fonte” da parte dell’Unione europea sulle liquidazioni finanziarie riconosciute all’Italia, ammonta a circa 700 milioni di euro, riferiti solo ai cosiddetti crediti esigibili.
Ma nell’ingloriosa gestione delle multe latte degli ultimi vent’anni, c’è un buco molto più elevato: si tratta di circa 1,7 miliardi di euro, che restano ancora incagliati nel labirinto di rinvii e sospensive su cui hanno potuto contare i cosiddetti “splafonatori” delle quote latte (Agronotizie).
Latte, con la fine delle quote crescerà la produzione Ue
Con la fine delle quote la produzione di latte nell’Unione Europea crescerà. E’ la previsione della Coldiretti in vista dello stop al regime attuale fissato per il 1° aprile del 2015. Alcuni Paesi membri come l’Olanda, alcune zone della Germania, ma ancor di più l’Irlanda, sono già attrezzati in tal senso. Resta da capire l’entità dell’aumento anche considerato che oggi, e fino alla chiusura del regime della quote latte, molti allevamenti europei cesseranno la produzione, complice il difficile momento che sta attraversando il settore nel vecchio continente. Comunque è realistica la stima di un aumento del 2-3 per cento della produzione attuale del latte europeo. E’ altrettanto ovvio che questo non gioverà al regime dei prezzi del latte alla stalla. Notevoli difficoltà si registreranno soprattutto per quelle zootecnie da latte che risiedono nelle zone più fragili e sensibili dell’Unione.
In Italia si può prevedere un aumento delle produzioni di latte non più limitate dalle quote (anche se nel nostro Paese le quote per alcuni allevatori non hanno mai rappresentato un limite). Del resto, già per la corrente annata lattiera, viene stimato un superamento della quota nazionale attorno al 1/2 per cento. Tale prevedibile incremento dovrà però inevitabilmente confrontarsi con i prezzi delle maggiori produzioni nazionali che utilizzano il latte italiano. Ci riferiamo in particolare al Grana Padano e al Parmigiano Reggiano che assorbono, assieme alle altre Dop minori, la metà del latte italiano. L’altra metà è rappresentata da produzioni, a parte il latte fresco (circa il 10 per cento), non tutelate da nessuna menzione dell’origine del latte in etichetta e quindi maggiormente esposte alla concorrenza spietata del latte d’Oltralpe, che sicuramente è e sarà più concorrenziale del nostro.
Un dato su tutti: la maggior produzione casearia commercializzata in Italia non è rappresentata dal Grana Padano bensì dalla di mozzarella di latte vaccino che però utilizza, da nostre valutazioni, solo un quarto di latte italiano. Da qui la necessità di un politica efficace che entri nel merito dell’evidenza dell’origine del latte nazionale anche per produzioni come mozzarella vaccina o altri formaggi venduti in larga scala in Italia. A mio avviso il prezzo del latte passerà anche attraverso queste politiche così come nell’evidenza dei comportamenti ( benessere animale) e dell ‘uso di alcuni alimenti (Ogm free), cercando di produrre latte con un “valore aggiunto” atto alle diverse destinazioni casearie. In altre parole, dovremo sempre più distinguerci dagli altri competitori europei e mondiali.
Ma quale sarà l’impatto delle nuove regole? L’obbligatorietà della stipula di contratti scritti per la vendita di latte, l’ istituzione di organizzazioni di produttori (che per la verità già esistevano), la programmazione delle grandi produzioni Dop casearie italiane, secondo una logica puramente teorica, dovrebbero portare vantaggi agli allevatori.
Nonostante ciò le norme sulle cosiddette O.P. (organizzazioni di prodotto) solo per la contrattazione, rappresentano un passo indietro rispetto l’obbligatorietà di aderire all’O.P. con il conferimento del latte , così come previsto dalla legge 102/2005. Occorre poi trovare un giusto equilibrio nella programmazione produttiva dei formaggi Dop italiani fissando livelli produttivi adeguati che non opprimano la possibilità di espansione del mercato soprattutto all’esportazione e nel contempo non provochino un notevole gap di prezzo tra latte simile prodotto nella medesima zona e destinato ad utilizzazioni diverse.
Circa le prospettive per il commercio estero nel dopo-quote, il nostro Paese ha una enorme potenzialità di esportazione dei grandi formaggi Dop. Le performance dell’ultimo anno ci danno la misura di come possiamo ancora crescere in un mercato mondiale in cui nuove generazioni abbienti potrebbero rappresentare il futuro per le nuove leve di allevatori italiani. La lotta alla contraffazione e alla deturpazione delle denominazioni appare sempre più come una esigenza da perseguire con tutti i mezzi.
Abbiamo perso troppi anni a lasciar fare alle industrie italiane quello che volevano utilizzando il ”sounding” delle Dop italiane così come nulla si è fatto per combattere la pirateria di produzioni estere “similari”. Lo sprone rappresentato da Coldiretti in questi ultimi anni sta dando i primi frutti, ma la strada è ancora lunga.
Parlare di cessazione delle quote latte senza parlare della certezza di indicazione obbligatoria dell’origine, oltreché di altre definizioni volontarie che entrano nella sfera ”dell’etica” (benessere animale, ogm free…), della lotta serrata alla agropirateria nel settore caseario, dell’istituzione e attivazione di vere “filiere agricole italiane” (anche partendo dal latte Uht), potrebbe rappresentare per gli allevatori italiani di bovine da latte un grande problema per il dopo quote latte. Abbiamo due anni a disposizione per attrezzarci, diamoci da fare. (Il Punto Coldiretti)
19 aprile 2013