Sisma, a rischio la produzione di Parmigiano. I caseifici emiliani colpiti dal sisma: crollati magazzini e stalle, mucche senza latte
Un mattino di fine maggio ha visto i piloni della stalla leggermente piegati. Ha spostato le mucche. Il giorno dopo, era il 29, la terra ha tremato più forte della prima volta e la stalla è venuta giù. Poi ne è crollata un’altra.
Ha salvato 300 mucche, 150 bufale e 200 tra capre e pecore. è lui che si sta perdendo. «Se continua così vendo le bestie, prima che diventino così secche da non valere più niente».
Dice sul serio, Andrea Barbieri da Mortizzuolo, frazione di Mirandola, anche se ha sempre fatto l’allevatore, e così suo padre e il padre di suo padre. Se per ricostruire dovrà pagare tutto di tasca sua chiuderà. «Le banche chiedono garanzie. Ma io che garanzie posso dare se è crollato tutto?».
Ha spostato le pecore nel giardino di casa e le mucche sotto due tensostrutture. «Le stalle erano automatizzate: pulitura otto volte al giorno, ventilatori, spruzzi d’acqua per rinfrescare gli animali. Da quando le ho messe là sotto la produzione di latte si è dimezzata».
La dissoluzione di un pezzo della filiera del Parmigiano Reggiano è ben più d’uno spettro che solca la bassa emiliana. Il 15 per cento della produzione del 2012 è andato perduto. La Coldiretti stima 150 milioni di danni. Ma è la stima dell’emergenza. A quasi due mesi dalla prima scossa la paralisi è tutt’altro che superata.
La catena si è spezzata anche nei suoi anelli più nascosti ma vitali. I mungitori, ad esempio: la manodopera è quasi tutta di origine sikh. Dopo le scosse molte aziende hanno perso dipendenti, fuggiti per la paura, e non riescono a rimpiazzarli. Singh Bahadar, un indiano di 48 anni, tiene duro, forse perché ha anche una piccola stallatutta sua, a Novi. «Nell’altra in cui lavoro due su cinque se ne sono andati. E ne conosco almeno altri dieci che sono spariti. Io no: mungere è tutto quel che so fare».
Più passa il tempo, più le possibilità di rialzarsi diminuiscono. «Entro sei mesi chiuderanno in molti se lo Stato non dà una mano», dice Barbieri, uno dei più grandi allevatori del Modenese. Il latte delle sue mucche finisce alla Cappelletta di San Possidonio, un centinaio di forme prodotte al giorno e 500 quintali di latte lavorati.
Quando il sisma ha piegato l’Emilia 30 mila forme stipate sulle scalere sono finite a terra: 17 milioni di euro in fumo o quasi. Ora il magazzino ha un aspetto tetro: è vuoto, a terra sono rimasti gli ultimi pezzi da buttare.
L’ingranaggio si è inceppato. I caseifici da ricostruire sono un’ottantina, il 20 per cento del totale, quasi tutti nel Modenese; le stalle molte di più. «Avremmo bisogno di sapere quando arriveranno i permessi, se avremo contributi o sgravi», spiega Barbieri.
A oggi non possono nemmeno portare via le macerie, perché i Comuni non trovano l’accordo con le aziende che dovrebbero smaltirle. Intanto le mucche sono ammassate in ricoveri di fortuna, e producono poco latte, caseifici, fornitori, veterinari lavorano meno. «Io non sto più pagando nessuno», ammette Franco Truzzi, un allevatore di Concordia. Come gli altri, aspetta ancora i soldi per il latte venduto nel 2010. «Ma con i danni subiti, i caseifici chissà quando pagheranno».
Le stalle arrancano ma sanno che dalla sopravvivenza dei caseifici dipende la loro; ma se le stalle chiudono per i casari è la fine. La filiera si reggeva su un equilibrio sottile; il sisma l’ha spazzato via. Franco Truzzi è rimasto senza casa, con un fienile pericolante e una stalla che nemmeno vuole fare controllare per paura che la dichiarino inagibile.
Ha dimezzato le mucche: ora ne ha sessanta. Alla famiglia Villa, in un mese, ne sono morte dieci su cento: il sisma ha schiantato il tetto della stalla, hanno svuotato il fienile in una notte per riparare le mucche. Ma il pavimento è in cemento, gli animali scivolano e si spezzano le gambe. Anche Nelson Sacchi ha perso alcuni capi; altri perdono latte. Due vitelli sono nati morti. «Io vivevo con poco. Mi bastava la soddisfazione di produrre un latte di qualità, sempre sopra la media. Prendevo un premio di 600 euro al mese». A giugno la qualità
Repubblica – 9 luglio 2012