Dieci milioni di quintali di granella inutilizzata Ma i controlli rigorosi dei caseifici e dei veterinari impediscono che latte sospetto arrivi in tavola. Un cocktail micidiale di siccità, caldo e umido ha arrecato danni al mais
L’aspergillo è una grana dura, durissima. Una muffa odiosa che avvolge come un velo candido il chicco di mais e quando arriva son dolori: è il fungo responsabile della produzione di aflatossine, sostanze tossiche che possono percorrere la catena alimentare dai cereali fino all´organismo umano.
I libri di chimica recitano che l´aflatossina M1, presente nel latte contaminato, deriva dall´aflatossina B1, che si ritrova nei cereali e viene trasformata in M1 a livello epatico. Questa molecola è dotata di attività cancerogena: la contaminazione del latte può provocare poi la concentrazione della tossina nei derivati lattiero-caseari, aumentando così il rischio per la salute umana. Anche se, ad onor del vero, il livello di tossicità si palesa con l´ingestione prolungata nel tempo.
Fin qui la teoria perché quello che sta accadendo in Veneto si ferma per fortuna ad un certo punto: metà del mais prodotto qui è inutilizzabile per nutrire le vacche da latte e la gran parte giace negli essicatoi.
Ma se anche la granella malata finisse nei pastoni delle bestie ci pensa il caseificio a bloccare il latte sospetto con i puntuali e rigorosi controlli sia sotto forma autonoma, che cadenzati dai servizi veterinari.
La telefonata che racconta di aver ricevuto l´altra sera il prof. Igino Andrighetto, vicentino, dg dell´Istituto Zooprofilattico delle Venezie, ente sanitario di diritto pubblico che svolge attività di prevenzione, controllo e ricerca, la dice tutta sulla rigorosità: «La contaminazione è 55 ppt (parti per trilioni), la soglia è 50 – gli hanno detto – buttiamo via il latte». Poca roba, 700 litri, il tutto si esaurirà in un altro paio di giorni di problemi, altri 1.400 litri in concimaia o dati ai vitelli, intanto si riformulerà la razione della mucca riducendo o sostituendo i prodotti a base di mais con orzo, strumento, sorgo.
Allora se il problema del possibile latte contaminato è arginato grazie alle mole di controlli messi in campo e di cui il Veneto è ormai modello consolidato, la partita è un tormentone per quanto riguarda il mais malato.
Un film già visto: chi non ricorda la torrida estate del 2003, il problema si era palesato già in quell´occasione. Quest´anno un cocktail micidiale di siccità, caldo, umido e farfallina piralide hanno fatto sì che i 250 mila ettari che in Veneto, prima regione in Italia, sono dedicati alla coltivazione di mais (su un totale di 960 mila), siano stati messi a durissima prova, male anche il Vicentino.
Il risultato non lo nasconde certo il dottor Giorgio Cester, responsabile dell´unità di progetto veterinaria della Regione Veneto, ieri nel corso di un incontro: «Per l´annata in corso c´è scarsità di produzione, bisogna comprarlo». Il Veneto ne produce dai 15 ai 16 milioni di quintali, ne mancano 4 quintali, il migliore è quello austriaco ma è stato venduto tutto. Il 40% di quello che abbiamo prodotto quest´anno è buono, l´altro è un bel problema, inutilizzabile almeno per quanto riguarda l´uso alimentare. Ma ci sono pure Consorzi che hanno preferito chiudere gli occhi e stoccare nel silos la produzione della settimana di Ferragosto. Oggi i nostri saranno a Roma, perché questa “patata” è un tema che anche il Ministero della Salute sta affrontando. È stato prospettato l´utilizzo di sostanze tipo ammoniaca per provvedere in buona sostanza a dei lavaggi, mezzo chimico per la detossificazione della granella, ma non è una soluzione che ai nostri aggrada molto, benché sia un metodo ammesso dalla comunità europea, finora mai utilizzato e di cui sono segnalate criticità varie. Va detto che la Regione ha preso di petto la situazione con un decreto che prevede un piano integrato di controlli in Veneto, attraverso la verifica e le analisi del servizi veterinari delle Ulss che garantiscono il rispetto dei limiti fissati a livello comunitario.
Resta aperto il problema del costo del mais che è impennato vista la scarsità di offerta: dai 18-20 euro al quintale di un anno fa ai quasi 30 attuali. Dieci milioni di quintali di granella di mais non utilizzati pesano 250 milioni di euro.
Resta la consolazione della polenta: sul mais Marano nessuna conseguenza, arriva da una varietà più resistente.
Il Giornale di Vicenza – 26 ottobre 2012