Non cambia la sostanza e soprattutto non cambia il metodo. Sulla riforma del mercato del lavoro Mario Monti non arretra di un centimetro e ai sindacati fa sapere che quella «strana» formula «salvo intese» non vuol dire che il testo cambierà.
«Significa, invece, salvo intese tra membri del Goveno e il Capo dello Stato. Nessuno si illuda che forze importanti ma esterne possano modificare l’impianto della riforma tra qui e la stesura del Ddl». Insomma, il testo è «chiuso» ai contributi esterni e aperto solo al Parlamento che «deciderà cosa fare e verosimilmente lo cambierà».
E qui arriviamo al metodo-Monti che lo stesso premier ha voluto evidenziare e che ha superato la concertazione, cioè quella tecnica decisionale che ha contraddistinto le decisioni dal Governo Ciampi in poi. E, come rivela un fuori onda su Repubblica tv in un colloquio con Camusso, ricorda che «il Parlamento non è impermeabile alla vita sociale». «Ho voluto riavvicinare la Costituzione materiale a quella formale ascoltando il sindacato ma senza rincorrere la pace sociale dicendo sì a tutti come è accaduto negli anni passati quando si è preferito scaricare i costi sulle generazioni future, su quelli che oggi sono i giovani senza lavoro». Parla al Forum di Confcommercio organizzato a Cernobbio e anche con la platea che ha davanti non indulge in promesse e simpatia: «In passato sono state ascoltate troppo le categorie e ora siamo in una situazione critica».
Ma di nuovo parla al sindacato, dice di non aspettarsi la revoca dello sciopero Cgil «che fa parte della fisiologia della democrazia» e contemporaneamente dà la sua stoccata. «Al sindacato ho tolto la cedolina con il diritto di veto: hanno un ruolo importante ma devono stare al loro posto». In effetti, mai per voce di un premier si erano sentite parole così dirette e ruvide.
Ugualmente secco è quando affronta il tema più delicato, la crescita. «Non prometto a nessuno una crescita nel 2012 ma ci sarà meno recessione o una leggera crescita in virtù degli interventi fatti». E qui parla ai politici che parlano di Pil con troppa facilità: «Ai politici che verranno e anche a voi dico di avere pazienza perché sono operazioni lunghe e l’emergenza non è finita». Quello che si sta muovendo su questo fronte è il Cipe «che è diventata una macchina di decisioni e finanziamenti sulle infrstrutture grazie a Barca e Passera». Insomma, poche promesse, anzi, un bagno di realismo visto che in «Spagna lo spread sta risalendo e si teme una nuova situazione di contagio». Il messaggio dunque è molto chiaro. «Purtroppo non siamo usciti dall’emergenza, i mali di decenni non si risolvono in qualche mese. Non illudiamoci e credo si debbano tenere basse le aspettative perché il Paese non è in una situazione brillante».
Ma la vera sorpresa arriva in quell’attacco frontale a Roberto Maroni che è seduto in platea e che poco prima nel suo intervento aveva promosso il Governo dandogli un 7 sul metodo di dialogo sulla riforma del lavoro, ma l’aveva bocciato sia nei contenuti della riforma – «un pasticcio» – sia nell’aver caricato ancora di tasse il Paese. Monti proprio non lo accetta e non lo risparmia. Anche se prima dà una notizia: «Lo avrei voluto come ministro dell’Interno del mio Governo se ci fosse stata una più ampia convergenza e se il Capo dello Stato fosse stato d’accordo». Notizia a parte, sul resto lo mette nell’angolo con un certo gusto sadico nel ridicolizzare alcune scelte della Lega come «gli strani dipartimenti a Monza che abbiamo eliminato nel rispetto della Costituzione e del buon senso anche se con poco risparmio». E poi attacca il Maroni «storico, anzi a-storico che non riconosce le enormi responsabilità dei governi di cui ha fatto parte e che sono molto maggiori dell’attuale». E gli ricorda che solo un anno e mezzo fa l’Esecutivo di cui faceva parte «aveva perfino negato nell’analisi la crisi del Paese. Se il suo ex governo avesse cominciato prima a riconoscere le criticità anziché negarle sarebbe stato meglio». Un ritardo «colpevole» lo chiama Monti che è anche causa di quell’eccesso di carico fiscale che Maroni gli ha rimproverato. E poi ribatte: «Vorrei dirgli che per fare le liberalizzazioni, come noi abbiamo appena fatto, non serviva cambiare l’articolo 41 della Costituzione». L’offensiva è a tutto campo, anche personale: «Ricambio la simpatia per Maroni anche se faccio fatica a distinguere il piano personale da quello politico come fanno i politici». L’ex ministro leghista andando via dirà «sono deluso per il suo attacco». Nel corso del suo intervento Monti ha parlato anche di Spagna, con riferimento ai conti pubblici del paese. Battute che devono aver sollevato qualche critica di Madrid al punto che in serata, attraverso la sua portavoce, Monti è tornato sul tema per esprimere la totale fiducia nella determinazione del governo spagnolo in merito al consolidamento fiscale. Aggiungendo che la stessa Italia non è più fonte di contagio nell’eurozona.
ilsole24ore.com – 25 marzo 2012