«Ho sempre escluso, ed escludo anche oggi, di considerare un’esperienza di governo, per quanto mi riguarda, che vada oltre la scadenzadelle prossime elezioni. Naturalmente sono, e resterò anche dopo di allora, membro del Parlamento in quanto senatore a vita».
La riunione dell’Ecofin si è appena conclusa e Mario Monti getta una lapide sulla possibilità di candidarsi ora, magari con lo stesso schieramento che regge attualmente il suo governo, alla guida di palazzo Chigi dopo il 2013.
Parole nette, quelle del capo del governo, che mettono a tacere presunte sue velleità di entrare a tutto tondo nell’agone politico. Parole che servono a smorzare la polemiche e che riconsegnano il professore a quel suo compito «momentaneo» e «voluto da tutti, o quasi», che svolgerà per qualche altro mese ancora. A differenza di altre volte, Monti ricorda il suo incarico da senatore a vita, ma non intende contribuire a creare, oggi, una nuova forma di bipolarismo tra coloro che lo vogliono ancora a palazzo Chigi e chi lo considera solo «una parentesi», chiusa la quale tornerà l’alternanza tra schieramenti.
Risposta obbligata, quindi, quella del professore che a Bruxelles si è trattenuto due giorni per difendere quello scudo anti-spread che con tanta fatica l’Italia è riuscita a strappare al Consiglio europeo di giugno. Proprio parlando di tassi d’interesse, che per l’Italia restano ancora alti, il presidente del Consiglio di fatto riprende e condivide l’invito fatto dal capo dello Stato alle forze politiche affinché mettano a punto una nuova legge elettorale in grado di assicurare governabilità e stabilità al Paese. Monti, che già domenica scorsa aveva accennato al problema, ricorda a cittadini e forze politiche che tra gli argomenti che potrebbero contribuire a limare un po’ di quella incertezza che c’è sui mercati sono proprio le riforme istituzionali.
«A novembre scorso si interrogavano su ciò che avrebbe fatto l’attuale governo, e a gennaio su cosa farà il prossimo», sostiene Monti. A suo giudizio lo spread «viene determinato anche da quelle riforme che, finita questa breve esperienza hanno un peso maggiore rispetto a novembre quando gli occhi dei mercati erano tutti su ciò che avrebbe potuto fare questo governo. Quando saremo a gennaio – sottolinea Monti – sarà quasi irrilevante cosa potrà fare il governo diventando di peso predominante l’altro aspetto».
Di fatto la riforma elettorale, visto che ormai non c’è più tempo per pensare ad riforme costituzionali, diventa al pari della riforma del mercato del lavoro e della spending review, una misura necessaria per tranquillizzare i mercati che temono il ritorno dell’Italia a quella situazione di sostanziale paralisi che ha caratterizzato gli ultimi quindici anni di vita politica.
Con tono secco, Monti esclude un suo rientro a palazzo Chigi. Ciò gli permette di rimanere quel presidente del Consiglio sopra le parti che sinora gli ha consentito di presentare, e far approvare dal Parlamento, delle misure che difficilmente una sola parte politica sarebbe stata in grado di portare a casa. Resta per lui quel ruolo da senatore a vita che ieri ha sottolineato e che tanto somiglia ad una panchina di lusso dalla quale non poche volte il Paese ha attinto le energie migliori per superare fasi complicate e risolvere situazioni di stallo. Non a caso c’è chi ricorda che proprio dalla pattuglia dei senatori a vita è arrivato l’attuale presidente della Repubblica e non è detto che proprio questo sia il ruolo e l’incarico (visto che sta per scadere il settennato di Napolitano) dal quale Monti possa garantire ai mercati quella continuità e «collaborazione efficace» tra il governo italiano del dopo elezioni e le istituzioni europee.
11 luglio 2012 – Repubblica