Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (sez. lavoro), nella sentenza del 10 febbraio 2015 n. 598, ha affrontato la tematica del mobbing posta in essere dalla ASL di Caserta nei confronti di un Dirigente Medico dipendente.
Un Medico specializzato in ortopedia e medicina fisica riabilitativa, dipendente della ASL di Caserta è ricorso al Giudice del Lavoro per impugnare il licenziamento comminatogli e domandare il risarcimento dei danni per mobbing.
Il medico ha sostenuto di avere subito una serie di comportamenti vessatori da parte del pubblico datore di lavoro per un periodo di oltre otto anni. Il ricorrente ha anche sostenuto di avere subito decisioni datoriali illegittime, come trasferimenti e demansionamenti.
Il Giudice del lavoro del Tribunale casertano, in una eccellente sentenza di oltre trenta pagine, ha riepilogato gli arresti giurisprudenziali che hanno tracciato la strada al riconoscimento del mobbing nell’ordinamento giuridico italiano. In questa digressione il Giudice ha utilizzato ed evidenziato anche gli elementi psicologici e sociologici del fenomeno in esame.
Ed infatti il Tribunale cristallizza gli elementi che devono ricorrere, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità per aversi “mobbing lavorativo”.
Ovvero, contegni datoriali di carattere vessatorio con intento persecutorio, evento lesivo della salute del prestatore di lavoro, nesso eziologico tra condotte e pregiudizio subito dal lavoratore e intento persecutorio che unifica le condotte lesive.
Al riguardo il Tribunale sostiene che “ il dato oggettivo, quindi, della serialità e aggressività delle azioni datoriali, si combina con quello soggettivo della finalità vessatoria e persecutoria dell’autore che, specie in presenza di atti in sé leciti, permette di giungere ad una valutazione finale e complessiva di disvalore ….[..].. quanto poi al sistema di tutele approntabili in favore del lavoratore, la strada è stata già delineata dalla giurisprudenza che per prima si è espressa sul punto e ha trovato consenso unanime della dottrina e ha individuato nell’art. 2087 c.c. una disposizione di chiusura che consente di sanzionare ogni tipo di condotta suscettibile di produrre un danno ingiusto a diritti costituzionalmente garantiti”.
Terminata tale analisi, il Giudice del Lavoro ritiene raggiunta la prova dell’inadempimento datoriale e dei comportamenti vessatori della pubblica amministrazione sanitaria.
Per il caso concreto il Tribunale espone le norme applicabili all’istituto e vigenti per il rapporto di pubblico impiego, quali l’art. 52 del T.U. n. 165 del 30 marzo 2001.
La norma di riferimento nell’ambito del lavoro pubblico non è l’art. 2103 c.c. bensì l’art. 52 T.U. 165/2001, che configura deroghe alla disciplina codicistica.
Ed infatti il Tribunale, sul punto, ha statuito che “ fermo il diritto del lavoratore ad essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto, ribadito anche dalla disposizione da ultimo citata (ndr TU del 2001), va, tuttavia, evidenziata una fondamentale differenza rispetto al lavoro privato: il parametro di riferimento, ai fini della valutazione sull’equivalenza delle mansioni, ex art. 2103 c.c., viene individuato dalla norma nelle mansioni ultime effettivamente svolte dal lavoratore; invece, l’art. 52 del T.U. 165/2001 si riferisce espressamente alle mansioni considerate equivalenti nell’ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi….[….]… Dunque la inapplicabilità dell’art. 2103 c.c. ai pubblici dipendenti, ivi compresi quelli con qualifica dirigenziale comporta l’impossibilità per il giudice di merito di procedere al giudizio di equivalenza tra le mansioni, utilizzando quale parametro di riferimento quello delle mansioni da ultimo svolte dal lavoratore.
Ciò non implica, tuttavia, la liceità del comportamento datoriale diretto a privare il pubblico dipendente di qualunque incarico e, dunque, ad esautorarne il ruolo all’interno dell’amministrazione. Ove, infatti, venga ravvisato, nel suo concreto, un sostanziale svuotamento dell’attività lavorativa, la vicenda esula dall’ambito delle problematiche sull’equivalenza delle mansioni, configurandosi la diversa ipotesi della sottrazione pressochè integrale delle funzioni da svolgere, con lesione del diritto alla professionalità del lavoratore.”
Il Giudice ha anche ritenuto che le prove fornite relativamente alle condotte datoriali, quali quelle relative al trasferimento e al demansionamento, gli esiti delle consulenze mediche effettuate sulla persona del lavoratore (che hanno evidenziato la sussistenza della sindrome da mobbing limitatamente all’ambiente ospedaliero ove operava il ricorrente, risultano rientranti nell’alveo dell’istituto giuridico invocato.
Evidenzia, infine, che il Medico ha effettivamente subito dei danni patrimoniali e non patrimoniali, riassumendo, anche in questo caso in modo esemplare, il percorso giurisprudenziale creatosi sulle norme di cui agli artt. 2043 e 2059 c.c.
Il Tribunale adito ha quindi accertato la responsabilità dell’ente pubblico convenuto per “mobbing” subito dal ricorrente, nonché l’illegittimità del licenziamento, con ordine di reintegra nel posto di lavoro.
L’Azienda Sanitaria è stata quindi condannata a risarcire il danno non patrimoniale subito dal Medico, il danno patrimoniale per lesione della professionalità per demansionamento.
L’Azienda Sanitaria è stata anche condannata a corrispondere al Medico un’indennità sostitutiva per le ferie non godute, il risarcimento del danno subito per l’illegittimità del licenziamento, le spese di lite, comprese quelle relative all’espletata consulenza tecnica medico legale, oltre interessi legali su tutte le somme liquidate.
Questo il dispositivo della sentenza, meritevole di integrale lettura.
“ Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in persona della dott.ssa Adriana Schiavoni, quale giudice del lavoro, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza disattesa, così provvede: a) dichiara la responsabilità dell’Azienda Sanitaria Locale di Caserta in ordine al mobbing subito dal ricorrente e per l’effetto la condanna al pagamento in suo favore della somma complessiva di € 304.738,93 a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, oltre interessi legali dalla data della presente decisione al soddisfo; b) dichiara l’illegittimità del demansionamento subito dal ricorrente per il periodo dal 01.01.2003 al 07.08.2008 e per l’effetto condanna l’Azienda convenuta al pagamento in suo favore della somma di € 63.606,07 a titolo di danno patrimoniale alla professionalità, oltre interessi legali dalla data della presente decisione al soddisfo; c) condanna l’Azienda Sanitaria Locale di Caserta al pagamento in favore del ricorrente della somma di € 37.511,54 a titolo di indennità sostitutiva per ferie non godute, oltre interessi legali dalla data della cessazione del rapporto al soddisfo; d) dichiara la nullità del licenziamento intimato al ricorrente in data 07.8.2008 e per l’effetto ordina alla convenuta, in persona del legale rappresentante p.t., di reintegrare il ricorrente nel posto di lavoro; e) condanna la società convenuta al risarcimento del danno subito dal lavoratore stabilendo un’indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto percepita mensilmente all’epoca del licenziamento – pari ad € 4.961,31 -, calcolata dal giorno del licenziamento sino all’effettiva reintegra, oltre interessi legali sui singoli crediti dalla maturazione al saldo, nonché al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali dalla data di risoluzione sino al ripristino del rapporto; f) condanna la parte convenuta al pagamento in favore della parte ricorrente delle spese processuali che liquida in complessivi € 5.901,00, di cui euro 770,00 per spese, oltre IVA e CPA come per legge, con attribuzione al procuratore dichiaratosi antistatario; g) pone a carico della parte convenuta le spese di consulenza tecnica d’ufficio, liquidata con separate decreto.”
24 aprile 2015
Avv. Emanuela Foligno – Fonte: Mobbing. Risarcimento da capogiro a carico dell’Azienda Sanitaria (www.StudioCataldi.it)