All’inizio del 2021 nel Regno Unito è stata avviata la sperimentazione clinica del cosiddetto “Mix-and-Match” per i vaccini anti Covid, un programma nato per valutare l’efficacia e la sicurezza dell’inoculazione di due farmaci differenti alla prima e alla seconda dose. In un contesto in cui sussiste la carenza cronica di dosi e la raccomandazione di non somministrare i vaccini a vettore virale (AstraZeneca e Johnson & Johnson) al di sotto di una certa soglia di età per il potenziale – ma comunque remoto – rischio di trombosi, può infatti essere estremamente utile combinare i vaccini a disposizione, per non rallentare la campagna vaccinale e rispettare le indicazioni delle autorità sanitarie, oltre che per garantire libertà di scelta a chi si sottopone alle iniezioni. Uno studio preliminare appena pubblicato ha dimostrato che il mix di vaccini Covid è sicuro ma più reattogenico, determina cioè una frequenza superiore degli effetti collaterali dopo la seconda dose rispetto al ricevere due dosi dello stesso farmaco. I sintomi sono comunque transitori e non destano preoccupazione. Non è ancora noto se “mescolare” i vaccini inneschi anche una protezione immunitaria maggiore.
Lo studio, chiamato Com-Cov e avviato alla fine di febbraio, è gestito dal National Immunization Schedule Evaluation Consortium e coordinato da esperti dell’Oxford Vaccine Group – Centre for Clinical Vaccinology and Tropical Medicine dell’Università di Oxford, in collaborazione con i colleghi della Scuola di Scienze Cliniche dell’Università di Nottingham. Nella prima fase dell’indagine sono stati coinvolti i vaccini BNT162b2/Tozinameran (nome commerciale Comirnaty) di Pfizer e BioNTech e il Vaxzevria di AstraZeneca, somministrati a una coorte di cittadini britannici con età uguale o superiore ai 50 anni (età media 57 anni). In tutto sono stati coinvolti oltre 800 volontari, con una leggera preponderanza di uomini (54 percento). I partecipanti sono stati suddivisi in gruppi che hanno ricevuto prima l’uno o l’altro vaccino e con tempistiche diverse tra prime (prima dose) e boost (richiamo); una parte ha infatti ricevuto la seconda dose a 28 giorni, un’altra a 84 giorni dalla prima.
Come indicato, la vaccinazione combinata ha determinato una reattogenicità superiore a quella osservata con due dosi dello stesso farmaco. La febbre, ad esempio, è stata segnalata febbre dal 34 percento di chi ha ricevuto prima il Vaxzevria e poi lo Pfizer contro il 10 percento di chi ha ricevuto entrambe le dosi del vaccino di AstraZeneca. Così come è segnalata dal 41 percento di chi ha ricevuto prima lo Pfizer e poi il Vaxzevria rispetto al 21 percento di chi ha ricevuto due dosi di Pfizer. Incrementi analoghi sono stati osservati anche per altri sintomi, come brividi, dolori muscolari, affaticamento, malessere generale, dolori muscolari (mialgia) e altri ancora. Poiché l’intensità e la frequenza di questi effetti collaterali è stata sensibilmente maggiore in soggetti con età superiore ai 50 anni, tenendo presente che nelle fasce più giovani gli effetti collaterali sono ancora più forti per via di un sistema immunitario più reattivo, gli esperti ritengono che il mix di vaccini Covid al di sotto dei 50 anni potrebbe far perdere un numero significativo di giorni di lavoro per poter recuperare dalla temporanea debilitazione. Nessuno dei volontari coinvolti nello studio ha comunque necessitato di ricovero in ospedale.
Ad aprile il progetto Com-Cov è stato ulteriormente ampliato per coinvolgere anche i vaccini di Novavax (non ancora approvato) e il Moderna, al fine di verificare gli effetti di ulteriori combinazioni tra farmaci diversi. Come indicato, sebbene più reattogenica, la combinazione Pfizer-AstraZeneca non è detto che sia anche più immunogenica, ovvero che determini una protezione immunitaria maggiore rispetto a quella offerta dalla doppia dose di un vaccino identico. Gli scienziati guidati dal professor Matthew Snape, docente di Pediatria e Vaccinologia presso l’Università di Oxford, hanno affermato che i primi dati sull’immunogenicità dovrebbero essere disponibili nel mese di giugno. I dettagli della ricerca “Heterologous prime-boost COVID-19 vaccination: initial reactogenicity data” sono stati pubblicati sull’autorevole rivista scientifica The Lancet.
Andrea Centini
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