Si arricchisce di un nuovo capitolo il faldone Pfas in mano alla Procura di Vicenza. Nei giorni scorsi la Regione ha segnalato alla magistratura che indaga per disastro ambientale un cortocircuito al suo stesso interno che non solo ha dell’incredibile ma potrebbe aver aperto un’altra grave fonte di inquinamento. Nel 2014, in piena emergenza Pfas — sostanze perfluoro alchiliche rilevate l’anno prima dal Centro nazionale ricerche nella falda acquifera di 21 Comuni tra Vicenza, Verona e Padova —, mentre la giunta Zaia cercava di correre ai ripari con filtri agli acquedotti e un maxi screening su 85mila residenti, un suo dirigente autorizzava la ditta accusata del disastro, la Miteni di Trissino, a lavorare rifiuti tossici provenienti dall’Olanda. E sversati in acqua. Si tratta di Alessandro Benassi, direttore dell’area Tutela e Sviluppo del territorio in Regione e in aspettativa dall’Arpav, che nell’ottobre di quattro anni fa ha firmato il rilascio di un’autorizzazione integrata ambientale alla Miteni, «per la produzione di prodotti chimici organici come idrocarburi alogenati e prodotti chimici inorganici come acidi e sali». Nei sali rientra la sostanza rilasciata dai rifiuti giunti dall’Olanda: si tratta del GenX, nome commerciale dell’HFPO-DA, acido dimerico esafluoropopilene ossido.
L’allarme è arrivato a Palazzo Balbi lo scorso 13 marzo dal ministero delle Infrastrutture olandese, che «informava la Regione Veneto di un flusso di rifiuti verso la ditta Miteni srl di Trissino». Lo riporta in una lettera spedita solo il 18 giugno scorso — perché tre mesi dopo? — al direttore generale dell’Arpav e coordinatore della Commissione Ambiente e Salute, Nicola Dall’Acqua, e alla direzione Ambiente retta appunto da Benassi, il direttore tecnico della stessa Agenzia per la protezione ambientale del Veneto, Carlo Terrabujo. Che scrive: «L’interesse del ministero olandese è di avere informazioni circa la possibile diffusione ambientale del GenX, nome commerciale di un tensioattivo industriale. E’ il sale di ammonio dell’HFPO-DA, utilizzato nell’industria in sostituzione dei Pfoa e prodotto nello stabilimento olandese (che ha indirizzato i rifiuti alla Miteni, ndr ) fin dal 2012. Il laboratorio Arpav di Verona si è attivato e ha messo a punto un metodo analitico per la determinazione di HFPO-DA con un limite di rilevabilità di 25 nanogrammi per litro d’acqua». Il risultato? «Le prime analisi su alcune acque sotterranee da pozzi collocati in un raggio di circa 500 metri dallo stabilimento della ditta Miteni evidenziano presenza di concentrazioni comprese tra 25 e 40 nanogrammi per litro — aggiunge il direttore tecnico dell’Arpav —. I laboratori Arpav saranno a breve in grado di estendere la ricerca del composto a tutti i campioni di acque ambientali e potabili».
Il problema, riporta sempre Terrabujo, è che per le acque potabili, secondo studi condotti negli Stati Uniti, i filtri a carboni attivi installati a valle di pozzi contaminati dalle sostanze citate, sono in grado di rimuoverle solo a concentrazioni inferiori ai 10 nanogrammi per litro d’acqua. E infatti il direttore tecnico «chiede al Comitato tecnico scientifico permanente di valutare le azioni da intraprendere in relazione agli aspetti ambientali e sanitari». «Abbiamo segnalato alla Procura di Vicenza che stiamo compiendo indagini a tappeto, nelle acque fuori e dentro l’area Miteni — spiega il dg dell’Arpav, Nicola Dell’Acqua — siamo in collegamento costante con la magistratura. Il primo report completo lo avremo domani, al momento non ci sono evidenze sulle ricadute sanitarie dell’immissione di queste nuove molecole nell’ambiente, che stiamo cercando. Non è semplice, non sono conosciute e infatti l’Olanda ha interpellato il Veneto, ormai riferimento per le indagini sui Pfas».
Ma perchè allora Benassi diede il via libera al loro sversamento nelle acque da parte della Miteni? «L’autorizzazione è frutto di una decisione della Conferenza dei servizi, alla quale partecipano Regione, Provincia, Arpav, Comune e Usl del territorio, oltre a gestori di acquedotti e fognature — risponde l’interessato —. Io l’ho solo ratificata in qualità di capo dipartimento, ma sono stati tutti gli enti citati a dichiararne l’ammissibilità. E poi nel 2014 non c’erano le conoscenze nè gli strumenti di rilevazione analitica delle sostanze chimiche a disposizione oggi. Non c’erano nemmeno i limiti per i Pfas, che la Regione Veneto ha imposto per prima, imponendo per le acque industriali gli stessi paletti previsti per quelle potabili. Infine un conto è il trattamento di rifiuti, un altro l’evidenza di immissione nell’ambiente di sostanze tossiche. Se ciò sarà dimostrato — chiude Benassi — abbiamo già chiesto alla Provincia di Vicenza, da due anni competente per tali autorizzazioni, di rivederla».
Corveneto – 5 luglio 2018