A furia di ritoccarla continuamente verso l’alto, la mini-patrimoniale sul risparmio introdotta dal governo di Mario Monti rischia di non potersi più definire tale.
Già nel passaggio al Senato della legge di Stabilità, l’imposta di bollo sui conti titoli e sui conti deposito (quelli in cui la somma viene vincolata) era stata portata dall’1,5 per mille al 2 per mille. Una misura che ha permesso al governo di recuperare 500 milioni di euro da destinare al finanziamento, tra le altre cose, del cuneo fiscale.
Adesso tra gli emendamenti depositati dal gruppo del Pd, che alla Camera ha la maggioranza assoluta, ne è spuntato uno firmato da tutto il gruppo presente in Commissione bilancio e che propone di aumentare al 2,5 per mille il prelievo sul risparmio finanziario. Per rendere più progressiva l’imposta, lo stesso emendamento prevede di eliminare il tetto minimo attualmente fissato a 34,20 euro e quello massimo che oggi è a 4.500 euro. Questo significa, per esempio, che su un deposito di 10.000 euro si risparmierebbero 9,20 euro, visto che la tassa scenderebbe da 34,20 euro a 25 euro.Viceversa, su un patrimonio più consistente, per esempio di 1 milione di euro, l’aggravio sarebbe di mille euro (si veda anche tabella in pagina). Per i depositi e gli investimenti delle società, invece, la proposta di emendamento del Partito Democratico propone comunque un tetto massimo di 10 mila euro all’imposta.
LA STRETTA FISCALE
In soli due anni, dal decreto «Salva-Italia» di Mario Monti, il prelievo fiscale sul risparmio ha prodotto un gettito quasi doppio per le casse dello Stato. Si è passati da meno di 7 miliardi di gettito del 2011 ai quasi 13 miliardi del 2012. Nel 2013, solo nei primi nove mesi dell’anno, gli incassi pubblici hanno già pareggiato quelli dell’anno scorso. Ad incidere non è stato solo l’aumento per quest’anno dell’imposta da bollo sui conti titoli e sui conti vincolati passata dall’1 all’1,5 per mille, ma anche l’entrata a regime del prelievo sui capital gain, i guadagni di Borsa, portato al 20%. In molte proposte emendative presentate in Commissione bilancio alla Camera, si prevede un ulteriore ritocco anche di questa aliquota in una misura che oscilla tra il 22% e il 23%. Sempre nel passaggio a Montecitorio il Partito Democratico punta anche ad inserita un altro cavallo di battaglia, la Tobin Tax, la tassa sulle transazioni finanziarie. L’idea è quella sì di alleggerire la tassa, portandola allo 0,01% dall’attuale 0,2%, ma allargando la base imponibile.
Insomma, nessun derivato e nessuna transazione si salverebbe più dal prelievo. E ad essere colpito sarebbe anche il cosiddetto «high frequency trading», gli ordini di Borsa generati da algoritmi che emettono ordini e li annullano in pochi decimi di secondo, e che negli ultimi tempi hanno creato repentini crolli dei mercati. Sempre al capitolo «tasse», va inserita anche la «web tax». A farne un cavallo di battaglia sono stati il deputato Pd Ernesto Carbone e il presidente della Commissione bilancio Francesco Boccia. La proposta è quella di obbligare Google e gli altri giganti del web ad aprire una partita Iva in Italia per fatturare la pubblicità che raccolgono nel Paese, oltre a considerare qualsiasi impresa che raggiunga i computer degli utenti italiani tramite le reti fisse, mobili e satellitari, come un’impresa residente (fiscalmente) nel Paese.
10 dicembre 2013