Il presidente del Veneto respinge l’idea di un federalismo che divide e rivendica i principi di solidarietà e di perequazione della riforma all’esame del Parlamento
“A meno che per solidarietà non si intenda l’accettazione supina di ospedali inefficienti e senza posti letto”. E, in questa intervista esclusiva, spiega come abbia già usato i costi standard nel riparto interno alla Regione Veneto.
Luca Zaia difende tutti i passaggi del federalismo. “È falso che i cittadini pagheranno di più” con il federalismo municipale, spiega, perché è solo “un cambiamento nelle modalità”. E a suo giudizio i costi standard sono “la prima vera azione di contrasto agli sprechi che sia mai stata pensata in sanità”. Ma per il riparto 2011 respinge con forza l’introduzione del criterio di deprivazione sociale rivendicato da Nichi Vendola e dagli altri presidenti del Sud: “Non mi risulta che dove il Pil è più basso siano più elevate le esigenze di salute dei cittadini, né mi pare sostenibile che il costo di una prestazione sanitaria debba per forza essere diverso a seconda delle condizioni socioeconomiche di un territorio”.
Presidente Zaia, questa settimana arriverà nelle Aule parlamentari il cosiddetto “federalismo municipale”. Le criticità messe in luce dai Comuni si sono risolte con la possibilità di introdurre nuove tasse. Pensa sia una soluzione accettabile?
Chi pensa che con il decreto i sindaci aumenteranno le tasse è stato evidentemente male informato. Quello che cambia è il principio, innanzitutto, ed è una rivoluzione copernicana: al posto della finanza derivata, in base alla quale è lo Stato a decidere quanto devono avere gli Enti locali e come devono spendere quel che viene dato loro, si introduce la finanza autonoma, per cui i Comuni gestiscono direttamente tasse e risorse. Se per “introduzione di nuove tasse” si intende un cambiamento nelle modalità, allora è vero. Se si vuol far credere invece che i cittadini pagheranno di più, è evidentemente falso. In ogni caso, io ho piena fiducia nel lavoro svolto dal Ministro Calderoli e dalla compagine governativa.
In Parlamento arriverà poi il decreto su fiscalità regionale e costi standard in sanità, che ha raccolto sia pure a fatica l’intesa delle Regioni. Molti analisti ritengono però che sia un provvedimento “svuotato”, che non cambierà l’attuale sistema di ripartizione tra le Regioni dei fondi per la sanità stanziati dal Governo centrale. Lei come lo giudica?
Il mio è un giudizio assolutamente positivo. La parte regionale della riforma federalista è probabilmente la più rilevante. Lo dico non perché presiedo una Regione, ma perché vi è compresa l’immensa partita dei costi standard in sanità, e sappiamo quanto il finanziamento della sanità pesi sulle casse dello stato e delle Regioni. L’introduzione dei costi standard coinciderà con la prima vera azione di contrasto agli sprechi che sia mai stata pensata in sanità. Vi pare possibile non intervenire su una realtà come quella odierna in cui una radiografia costa la metà in una Regione (come il Veneto) ed il doppio in un’altra; in cui esistono ospedali con 20 posti letto e 200 dipendenti; in cui la ripartizione dei fondi avviene sulla base della spesa storica, continuando cioè a pagare di più chi ha speso di più l’anno precedente? I nemici del federalismo continuano a descrivere la situazione come una “guerra” nord-sud, ma non è così! Responsabilizzare i centri periferici di spesa dando a tutti parametri uguali e ben pesati come i costi standard sulle prestazioni sanitarie e gli acquisti di tecnologie equivale a sostenere una crescita virtuosa per tutto il Paese. Certo, chi sinora ha sprecato o anche solo non si è preoccupato più di tanto dell’andamento della sua spesa, incontrerà maggiori difficoltà di chi, come il Veneto, la Lombardia, l’Emilia Romagna o la Toscana, lavora da tempo all’ottimizzazione delle risorse. Tanto perché non siano solo parole, il criterio dei costi standard noi abbiamo già iniziato ad introdurlo con il riparto del fondo regionale 2010 e con le direttive ai managers delle Ullss per il 2011 e 2012, nelle quali indichiamo a tutti la necessità di prendere come punto di riferimento per la gestione della sanità le migliori performances presenti sul territorio ed il minor costo pro capite raggiunto da alcune Ullss. All’ingresso dei costi standard in tutto il Paese, noi arriveremo pronti. Non vedo perché non debbano riuscirci anche le altre Regioni, chi faticando di più, chi di meno.
Il presidente della Puglia Vendola sostiene invece che questo federalismo sia una secessione mascherata e che rompa la solidarietà nazionale. Come risponde?
Francamente non capisco da dove nasca la posizione del mio omologo Vendola. La riforma federale prevede in sé il principio della perequazione e della solidarietà. Con esso si dà la possibilità ai territori, Puglia compresa, di decidere autonomamente come spendere i propri soldi, detto in parole poverissime. Ed è l’occasione per quella assunzione di responsabilità invocata dal Presidente Napolitano. A meno che per solidarietà non si intenda l’accettazione supina di ospedali inefficienti e senza posti letto che danno lavoro a decine e decine di infermieri, giusto per rimanere in tema, solo perché il tessuto economico di talune realtà della penisola si è fondato per decenni su questo sistema. Credo sia giunto il momento per una decisa virata culturale, prima ancora che amministrativa. Un rinnovamento che tutti i cittadini, da Nord a Sud, chiedono ormai. E il federalismo dà l’occasione per questo cambio di rotta.
Intanto le Regioni stanno discutendo dei criteri di riparto del cosiddetto Fsn per il 2011 e il Veneto è tra i più intransigenti nel respingere la richiesta, che viene da tutte le Regioni meridionali, di introdurre un indice di deprivazione sociale accanto all’attuale indice di anzianità della popolazione. Perché avete assunto questa posizione?
Noi siamo disponibili a lavorare perché questo riparto non sia una guerra tra poveri, tant’è che io stesso ho proposto una pausa di riflessione per approfondire le questioni sul tappeto, ma ribadisco la nostra contrarietà all’introduzione del criterio della deprivazione, che non ha evidenza scientifica e cambia profondamente le regole del gioco. È una sorta di criterio socioeconomico, ma non mi risulta che dove il pil è più basso siano più elevate le esigenze di salute dei cittadini, né mi pare sostenibile che il costo di una prestazione sanitaria debba per forza essere diverso a seconda delle condizioni socioeconomiche di un territorio.
La sanità al Sud è, nell’insieme, più arretrata rispetto a quella offerta dalle Regioni del Nord. In un sistema federale come si potrà intervenire per superare questo divario, che mette a rischio l’uguaglianza dei cittadini?
Una riforma come quella federalista punta proprio a creare le condizioni perché certe disparità vengano progressivamente colmate, prima di tutto responsabilizzando i centri periferici di spesa, a cominciare da quello sanitario che è il più pesante. Capisco che in certe Regioni del sud incidere su una situazione determinatasi in decenni potrà comportare delle difficoltà, ma è pur vero che, se mai si comincia, mai si finirà. Dovrà essere un lavoro progressivo, portato avanti da amministratori illuminati, che abbiano prima di tutto a cuore gli interessi reali delle loro popolazioni e, di conseguenza, il coraggio di incidere con decisione sugli elementi di spreco. Il tutto, sia ben chiaro, non dovrà comunque mettere in discussione l’erogazione in tutta Italia dei Livelli Essenziali di Assistenza, che sono costituzionalmente riconosciuti e che devono essere, e rimarranno, uguali per tutti.
Il Veneto ha un sistema sanitario regionale di grande efficienza. Quali sono le ragioni di questa realtà positiva?
Sono molte e certamente non tutte qui elencabili. Tra queste, direi una storica capacità gestionale con la relativa attenzione al miglior utilizzo delle risorse; una rete ospedaliera avanzata sia sul piano tecnologico che su quello tecnico-scientifico; una notevole integrazione ospedale-territorio, ancorché ancora da potenziare; un personale medico ed infermieristico capace e preparato; un’integrazione tra sanitario e sociale che, pur molto impegnativa da sostenere sul piano economico, garantisce alla popolazione un’assistenza a 360 gradi. Tutto ciò premesso, non vuol dire che sia tutto oro quel che luccica, ed anche noi oggi stiamo lavorando ad una profonda riforma della nostra organizzazione sanitaria, che si concretizzerà nelle prossime settimane in un nuovo Piano Sociosanitario Regionale. Gli obiettivi sono proprio quelli che ogni Regione dovrebbe porsi nell’ottica dell’ingresso del federalismo in sanità: ulteriore ottimizzazione della spesa; eliminazione della sovrapposizione di reparti e servizi sia tra pubblico e pubblico che tra pubblico e privato; rafforzamento dell’appropriatezza delle prestazioni; revisione della rete ospedaliera con la riconversione di alcuni ospedali, troppo piccoli e quindi potenzialmente inefficienti sia sul piano dei costi che su quello delle prestazioni erogate; trasferimento sul territorio di tutti quei servizi che ancora impropriamente sono erogati negli ospedali per acuti; rafforzamento della medicina territoriale e dell’assistenza domiciliare integrata; lotta alle liste d’attesa, che a mio avviso sono l’aspetto dell’organizzazione sanitaria sul quale il cittadino è, e giustamente, più sensibile.
Quotidianosanita.it – 16 febbraio 2011