I camici bianchi plaudono: si potranno evitare cause temerarie. Ma sui 72 anni piovono critiche
E’ arrivato con un emendamento di maggioranza al decreto “milleproroghe” lo scudo penale che per un anno proteggerà i medici dalle cause penali per colpa lieve ma anche da quelle per errori gravi quando si lavora in condizioni di difficoltà per carenza di personale. Anche se per gli assistiti resta sempre la possibilità di ricorre al processo civile per ottenere il risarcimento. Di fatto una riproposizione della norma varata per decreto nel 2021 in piena emergenza pandemica. «Nelle more della revisione della disciplina sulla responsabilità degli esercenti le professioni sanitarie di cui alla legge 8 marzo 2017 n. 24 si legge nel testo che a breve verrà presentato alla Camera- la limitazione della punibilità ai soli casi di colpa grave prevista dall’articolo 3-bis del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 2021, n. 44, continua ad applicarsi fino al 31 dicembre 2024 per i fatti di cui agli articoli 589 e 590 del codice penale, commessi nell’esercizio di una professione sanitaria, in considerazione della contingente situazione di grave carenza di personale».
Soluzioni comunque transitorie in attesa di una riforma vera e propria del contenzioso medico legale prevista nello stesso emendamento e che da un lato dovrà dare più spazio allo strumento della conciliazione, dall’altro -come è nei desiderata del ministro della Salute Schillaci, meno del Titolare della Giustizia Nordio- dovrebbe limitare l’accesso al processo penale solo nei casi di dolo.
Una soluzione che piace ai camici bianchi, meno a chi rappresenta gli interessi dei pazienti.
Ma la maggioranza ci riprova anche con il pensionamento a 72 anni dei medici, che oggi possono restare in servizio al massimo fino a 70 anni. Un allungamento dei termini, sempre su base volontaria, fortemente osteggiato nei giorni scorsi dai sindacati, con in testa quello degli ospedalieri Anaao, che giudica il pensionamento a 72 anni un “favore a mille baroni universitari”. La nuova versione del testo potrebbe però superare almeno in parte le resistenze perché il pensionamento verrebbe sì prorogato di due anni, ma solo per svolgere la funzione di tutor dei giovani specializzandi utilizzati in corsia, oltre che per prestare assistenza, ma senza conservare i galloni di primario.
Critica sullo scudo Cittadinanzattiva, che per bocca della rappresentante dell’associazione al tavolo tecnico a Largo Arenula, Valeria Fava, parla di “intervento a gamba tesa”, giudicando «eccessiva l’esclusione dalla sfera penale di qualsiasi caso di colpa grave, quando c’è invece da lavorare per rafforzare le misure di prevenzione del contenzioso ed estendere la copertura assicurativa di Asl e ospedali» che secondo una rilevazione dell’Agenas solo nel 50% dei casi hanno stipulato polizze assicurative, per di più con franchigie che vanno dai 250 ai 500mila euro.
I camici bianchi dal canto loro plaudono allo scudo, che per i medici internisti ospedalieri di Fadoi può porre un freno alle cause temerarie. «Quelle che da un lato generano uno spreco quantificato in 13 miliardi di euro tra medicina difensiva e costi assicurativi e che dall’altro sono uno dei fattori che spingono quasi il 40% dei medici a lasciare il pubblico e uno su dieci a cambiare mestiere, come documentato da una nostra recente indagine», afferma il presidente della Federazione degli internisti, Francesco Dentali.
«E’ bene ricordare -aggiunge- che oggi il 97% delle cause si conclude con un nulla di fatto, ma questa pressione alimentata ad arte dai professionisti del contenzioso sanitario genera una ulteriore indebita pressione sui medici, già costretti a lavorare in condizioni precarie per carenze di organico e di attrezzature adeguate». Sono invece tre le richieste degli internisti, condivise anche dagli altri camici bianchi, per la riforma della legge sulla colpa medica: l’obbligo di assicurazione per le Aziende sanitarie che ancora nel 50% dei casi si affidano alla autotutela, confidando su accantonamenti di bilancio risultati essere troppe volte insufficienti a fronteggiare le richieste di risarcimento; il rafforzamento dell’istituto della conciliazione; la previsione di sanzioni anche per chi si avventura in cause temerarie, che ostacolano comunque un sereno esercizio della professione, facendo al contempo lievitare i costi assicurativi”.
La Stampa