Ad aprile fecero irruzione al dipartimento di Farmacologia e si barricarono al quarto piano, liberando le cavie, “per dare visibilità al problema della vivisezione”. Il pm verso la chiusura dell’inchiesta
Erano rimasti per nove ore all’interno del dipartimento di Farmacologia della Statale, in via Vanvitelli 32, lo scorso 20 aprile. Blindati al quarto piano dell’università in un’occupazione ideata per «dare visibilità al problema della vivisezione» e «far muovere passi concreti verso l’abolizione della sperimentazione sugli animali», ma soprattutto per liberare gli animali chiusi all’interno della struttura. Ora i cinque giovani che hanno partecipato a quell’irruzione nei laboratori dell’università risultano indagati dal pm Alessandro Gobbis. Sono studenti ed ex studenti della Statale, aderenti al “Coordinamento fermiamo Green Hill” e vicini agli autori dell’altra, più recente, iniziativa contro quattro ricercatori dell’università che si sono ritrovati con volto, nome, indirizzo di casa e numero di telefono sui muri dell’ateneo. I cinque non farebbero parte della galassia antagonista e non avrebbero particolari legami coi centri sociali.
Nei giorni scorsi è stata l’organizzazione internazionale “Animal Liberation Front” a rivendicare l’affissione dei volantini con le minacce, ma per questo episodio la Procura non ha per ora identificato nessun responsabile. Per i cinque giovani indagati, invece, la stessa Procura si appresta a chiudere nei prossimi giorni l’indagine, perché identificati come i ragazzi saliti, lo scorso aprile, al quarto piano del dipartimento di Farmacologia e rimasti nei laboratori per nove ore. Dovranno rispondere di violazione di domicilio, reato punito con una pena da uno a cinque anni, perché si sono introdotti in un luogo non accessibile al pubblico, assimilabile a una dimora privata.
Quel giorno erano una cinquantina gli animalisti che avevano fatto irruzione nell’atrio del padiglione di Farmacologia. Poi in cinque erano saliti nello stabulario e si erano blindati all’interno con catene e lucchetti alle porte. Soltanto dopo nove ore avevano accettato di lasciare lo stabile, alla condizione di poter liberare tutte le cavie. Dopo una lunga trattativa con i funzionari della Digos, hanno lasciato i laboratori portando via un coniglio e 120 topi da laboratorio, senza però usare violenza o danneggiare le strumentazioni.
Quel sabato turbolento in università fu il primo di una serie di episodi che hanno determinato un clima di tensione e di paura tra i ricercatori. «Si rischia di gettare al vento anni di lavoro e importanti fondi per la ricerca — protestò ad aprile Carlo Sala, responsabile dell’unità del Cnr
che lavora nello stabile di via Vanvitelli — Studiamo patologie del sistema nervoso centrale come il ritardo mentale, ma anche Sla, morbo di Parkinson, Alzheimer. In laboratorio ci sono modelli animali geneticamente modificati che mimano le patologie umane: non sopravviveranno fuori dal laboratorio». Qualche mese dopo, fu invece Silvio Garattini, direttore dell’Istituto Mario Negri, a denunciare di aver ricevuto dagli animalisti minacce di morte via email e sui social network.
Repubblica – 24 gennaio 2014