Dal 2014 è stata un’escalation. Le fughe notturne dai centri di accoglienza di Mira e Mestre, la rivolta (dei migranti) al Ceis di Vittorio Veneto e il blocco della statale, la protesta (di sindaci e residenti) per la riapertura della caserma Salsa a Treviso, la rivoluzione di piazza contro i rifugiati alloggiati in un residence a Eraclea, la polemica sull’ipotesi caserma Montegrappa di Bassano, le ire del sindaco di Padova, Massimo Bitonci, per il ricorso della prefettura alla «Prandina». Infine, di nuovo, il caso Treviso.
L’emergenza profughi ha «incendiato» quasi tutto il Veneto (qualche «focolaio» anche a Belluno e Rovigo, dove i bandi indetti dalle prefetture per trovare nuovi posti letto sono andati quasi deserti), ma non Verona. La provincia scaligera è la seconda dopo Padova per numero di disperati inviati dal Viminale (circa 950), eppure nessun problema. Tutti organizzati, allineati e coperti. Ma come fanno? «La nostra filosofia è stata fin dall’inizio di distribuirli in piccoli gruppi spalmati su più Comuni possibile, in modo da evitare soluzioni impattanti — spiega il prefetto Salvatore Mulas —. In case e condomini non ne sistemiamo mai più di 5/7, gli unici nuclei numerosi sono i cento ospitati nell’ex convento Costagrande, in collina, e gli 80 assegnati all’ostello della Gioventù. Venti sindaci partecipano all’accoglienza e con otto di loro, cioè quelli di Verona, Nogara, Sorgà, Caprino, Bussolengo, Selva di Progno, Badia Calavena e Velo, abbiamo firmato o stiamo per farlo un protocollo che impiega i rifugiati in attività socialmente utili e gratuite. Un piccolo gesto, forse, ma importante per consentire a chi arriva di sentirsi accettato, di non restare tutto il giorno con le mani in mano e di farsi conoscere al meglio dalla popolazione, ricambiando l’ospitalità. L’operazione funziona e stempera la tensione».
Al punto che perfino due Comuni non coinvolti nell’accoglienza, Sorgà e Velo, hanno comunque dato la disponibilità a far lavorare i profughi. In generale si occupano di pulire le aree verdi pubbliche, le piazze, i parchi, i sentieri di montagna, i cimiteri. In virtù dei continui arrivi (la nuova quota per il Veneto è di 5724, con 1061 per Verona), è allo studio una tendopoli nel parco di Costagrande, che però non suscita contrarietà. «Stiamo cercando altre location — aggiunge il prefetto — proprio per mantenere un rapporto equilibrato con il territorio. Tentiamo anche di separare le etnìe che non vanno d’accordo e, per scongiurare frizioni, abbiamo già spostato qualcuno. Incontriamo tutti i profughi, i nostri funzionari li conoscono uno per uno e spieghiamo loro che hanno diritto all’accoglienza ma anche il dovere di rispettare le regole della civile convivenza. Chi non lo fa viene allontanato, come accaduto a tre di loro, violenti con altri ospiti e operatori». L’altro «segreto» è il dialogo continuo con i sindaci, costruito «battendo il territorio paese per paese e coinvolgendo le comunità a poco a poco», anche con incontri pubblici in cui i funzionari della prefettura hanno spiegato cosa sta succedendo e l’importanza della solidarietà.
«E’ vero, il rapporto di collaborazione che prima Perla Stancari e ora Salvatore Mulas hanno saputo instaurare con noi amministratori si è rivelato strategico — conferma Flavio Tosi, sindaco di Verona —. Non hanno mai imposto soluzioni d’imperio ma hanno cercato misure di concerto con noi, chiedendo il nostro parere con un certo anticipo rispetto all’arrivo di ogni contingente di profughi. E’ chiaro che se il prefetto mi chiede aiuto lo ascolto e mi impegno in tal senso, ma se mi scarica nel mio Comune un pullman di persone e mi dice sistemale, mi arrabbio. Probabilmente altrove c’è stata una carenza prefettizia in tal senso. Non credo che a Treviso tutti i sindaci e le cooperative siano insensibili al problema — chiude Tosi — sarà stato sbagliato l’approccio. Si deve decidere insieme ed evitare grandi assembramenti». Una linea condivisa da Elisa De Berti, il sindaco di Isola Rizza appena nominata assessore in Regione: «Io sono uno dei primi cittadini che ha rifiutato l’accoglienza, ma perché bisogna prima aiutare gli italiani rimasti senza casa e lavoro, che non sanno come pagare le bolletta e la scuola dei figli. Però riconosco che i prefetti hanno agito in maniera intelligente, senza forzare la mano e rispettando il territorio: ecco perché da noi non ci sono rivolte di piazza».
Michela Nicolussi Moro – Il Corriere del Veneto – 19 luglio 2015