«Governare la domanda di salute è un tema fondamentale. Perché stimiamo che almeno un 30% di richieste di prestazioni specialistiche non siano appropriate ai percorsi diagnostici terapeutici: mi riferisco a esempio alla diagnostica per immagini, quella di tipo “leggera” come le ecografie che spesso sono prescritte con troppa disinvoltura e non rispondono a un bisogno vero di salute». Giovanni Migliore è presidente della Fiaso, la Federazione che riunisce i manager che guidano Asl e ospedali, e il tema dell’appropriatezza prescrittiva lo sperimenta ogni giorno anche ora che è diventato da poco direttore generale dell’Aress, l’agenzia regionale per i servizi sanitari della Puglia.
«Ci siamo accorti che c’è una grande variabilità anche tra un’Asl e l’altra. A esempio nel percorso diagnostico terapeutico della mammella c’è una iper prescrizione di ecografie su specifici cluster di prescrittori. Ma non servono interventi sanzionatori, serve più formazione mirata».
Perché è importante intervenire?
Perché questa grande quota di inappropriatezza non soltanto sottrae risorse ma soprattutto non consente a chi ha davvero bisogno di ottenere nei tempi la prestazione di cui ha bisogno. Questo governo della domanda va fatto con strumenti che consentano la possibilità di agire su larga scala: oggi se saranno approvate le misure
giuste possiamo intervenire grazie agli strumenti che abbiamo a disposizione e al patrimonio informativo delle aziende sanitarie.
Ma come si interviene?
È evidente che se si identificano dei gruppi di medici che hanno atteggiamenti prescrittivi che non rispondono ad un buon uso delle risorse è necessario intervenire con la formazione che può essere una leva strategica e su cui siamo convinti che ci sarà la loro collaborazione. Oggi noi usiamo la formazione continua in medicina in modo generalizzato senza misurare il gap del bisogno formativo. Attraverso questo tipo di analisi noi potremo fare degli interventi mirati ed efficaci sui bisogni formativi dei professionisti su specifici percorsi diagnostici terapeutici.
Poi c’è il fronte dell’offerta di salute. Cosa possono fare gli ospedali?
Possono fare ancora tanto sfruttando al meglio il patrimonio di medici e infermieri che sono il bene più prezioso delle aziende sanitarie che forniscono servizi così particolari come quelli di salute. Dobbiamo valorizzare i nostri professionisti che scontano un gap di retribuzione rispetto agli altri Paesi europei facendo un patto con loro, consentendo a questi professionisti di esercitare la libera professione all’interno delle nostre strutture con tariffe concordate sulla base di quelle del Servizio sanitario nazionale per rispondere alle esigenze dei cittadini e quindi per l’abbattimento delle liste d’attesa. Potrebbero garantire così delle prestazioni al di fuori dell’orario di
servizio e governate dall’Asl lì dove c’è la necessità.
Ma il personale non è già sfruttato al massimo?
Abbiamo due possibilità quando raggiungiamo la saturazione dell’offerta all’interno dell’orario di lavoro: possiamo acquistare la prestazione al di fuori da una struttura privata accreditata con le tariffe del Servizio sanitario o abbiamo la possibilità nel caso i nostri ambulatori non siano pienamente utilizzati di impiegarli nell’ambito della libera professione per acquistare le prestazioni direttamente dai nostri professionisti e non all’esterno dell’azienda.
Ma serve una misura ad hoc per consentirlo?
Il contratto collettivo nazionale di lavoro non lo permette e per questo è necessario fare una modifica per legge se questa operazione si vuole fare su larga scala. Dobbiamo avere il coraggio di cambiare e dobbiamo pensare a strumenti nuovi trattando i professionisti per quelli che sono e non solo come dei dipendenti.
Dobbiamo puntare sulla loro voglia di scommettere su se stessi.
Il sole 24 Ore