“Dobbiamo ancora attenerci a un tetto di spesa per il personale sanitario dipendente del tutto anacronistico: è stato fissato nel 2004. Mentre non abbiamo vincoli, se non quelli imposti dal bilancio, per reclutare medici e infermieri con contratti libero-professionali”. È solo uno dei paradossi del servizio sanitario nazionale. Anche per questo, secondo Giovanni Migliore, presidente di Fiaso, federazione delle aziende sanitarie e ospedaliere, “il modello su cui si regge il sistema va ripensato e va assolutamente incrementato il fondo nazionale”.
Nei giorni scorsi le Regioni si rivolte al governo per chiedere un immediato intervento, sia sul piano finanziario che su quello legislativo, per il servizio sanitario, denunciando la drammatica situazione di sottofinanziamento e di gravissima carenza di medici e infermieri. È davvero così? Sì, i dati sono inequivocabili. Da tempo diciamo che la spesa sanitaria deve essere portata ad almeno all’8% del Pil. E ciò che è accaduto negli ultimi tre anni, – pandemia, forte rincaro dei costi energetici, il problema sempre più evidente della carenza di personale – r ich ie de un intervento immediato. Serve subito un patto di solidarietà tra governo, Regioni e aziende sanitarie, anche perché oggi ci troviamo di fronte a un’altra vera emergenza.
Quale? Il costo del personale dipendente incide per oltre il 50% sulla spesa totale mentre il 25% circa è assorbito dall’acquisto di beni e servizi. Su questa quota non riusciamo a intravedere cosa potrà accadere nei prossimi mesi e anni. Usufruiamo di servizi che sono ancorati a contratti precedenti il forte rincaro dei prezzi dovuti all’inflazione . E quando andremo a rinegoziarli ci sarà inevitabilmente un deciso incremento della spesa. Possiamo prevedere un aumento del 7%. Il che si traduce in almeno 1,5 miliardi di spesa in più. Intanto il personale sanitario, già ampiamente sotto organico, continua a fuggire dal pubblico e le aziende ricorrono a medici a gettone ed esternalizzano i servizi appaltandoli a cooperative. Una soluzione tampone che costa, tra l’altro molto di più. Non siamo contrari per principio all’esternalizzazione di un servizio. E non trovo giusto che un medico che viene impiegato saltuariamente abbia una retribuzione uguale a quella di un collega dipendente. Detto questo, è arrivato il momento di dire che quest’ultimo deve essere pagato di più, siamo ancora bloccati da un tetto di spesa stabilito quasi vent’anni fa. Se non interveniamo subito sugli stipendi del personale sanitario dipendente il sistema pubblico sarà sempre meno attrattivo. La crisi più grave riguarda i Pronto soccorso: mancano oltre 4 mila medici e nelle scuole di specialità la maggioranza dei contratti di formazione non vengono assegnati. Dopo anni di errori di programmazione i giovani medici non vogliono più lavorare nell’emergenza-urgenza. Dovremmo ridurre i posti nelle altre scuole di specializzazione, incentivando i giovani a scegliere la medicina di emergenza-urgenza non solo con un aumento significativo della retribuzione ma anche con una migliore organizzazione del lavoro. Un compito, quest’ultimo, che spetta a noi aziende ospedaliere. Occorre un nuovo e forte sforzo di programmazione. Tenendo anche conto del fatto che, paradossalmente, il ricorso alle cooperative di servizi ha portato a galla il vero valore sul mercato di un medico o di un infermiere. Anche se l’obiettivo di sanare la grave crisi del servizio sanitario nazionale non si raggiunge solo così, anche perché ci vorrebbero almeno tre o quattro anni per vedere i primi risultati. Per questo occorre ripensare anche, e questo va fatto subito, i modelli di finanziamento
Il Fatto quotidiano