Mai così bene sui mercati esteri. Mai così sofferenti sul mercato nazionale. Sono le classiche due facce della stessa medaglia, quelle descritte ieri da Giuseppe Ambrosi nel corso dell’assemblea di Assolatte che lo ha riconfermato presidente per il prossimo triennio. A fine 2016 l’export di formaggi made in Italy ha superato le 388mila tonnellate (+8,6%) per un controvalore di 2,4 miliardi (+7%). Questo risultato ha permesso al settore caseario di chiudere la bilancia commerciale con un attivo di 867 milioni. «Un risultato eclatante per un comparto che solo dal 2008 ha invertito la rotta ed è riuscito, grazie a grandi sforzi e investimenti degli imprenditori, a riportare in attivo la bilancia commerciale di settore», spiega Ambrosi.
È invece sul fronte interno che l’industria lattiero caseraia risente sia della generale stasi dei consumi, sia dell’evoluzione degli acquisti delle famiglie, che stanno privilegiando sempre più prodotti sostitutivi. Acquisti non sempre giustificati da una indicazione medica o da motivi di salute, come indica uno studio presentato da Daniele Fornari dell’Università Cattolica di Milano. La “causa” salutista ha fatto scendere del 19,1% gli acquisti di formaggi, del 24,8% quelli di latte, del 15,4% quelli di yogurt. Di pari passo si attenuano le vendite promozionali sui prodotti derivati dal latte nella distribuzione organizzata, aumentano invece sui prodotti sostitutivi di origine vegetale. Eppure qualche cosa sembra muoversi. Nei primi tre mesi dell’anno in corso un campione di aziende ha mandato un segnale di controtendenza con una media del +4,9% di aumento dei fatturati. In particolare (+7,3%) per le piccole aziende, considerate più aggressive, flessibili e veloci nel rispondere alle variazioni di mercato e di acquisto.
«Però è presto per tirare un sospiro di sollievo – dice il presidente Ambrosi – perchè la strada da percorrere è ancora lunga e difficile. Il gap tra l’Italia e gli altri Paesi si allarga in modo preoccupante. Occorre lavorare alle vere criticità del nostro Paese, prima tra tutte la scarsa competitività, che è all’origine di buona parte dei nostri problemi. Le inefficienze del sistema-Paese si trasformano in costi che solo le imprese italiane devono sostenere. Costi che ci fanno essere meno competitivi dei colleghi europei, che provocano inefficienze e portano alla chiusura delle imprese. Costi che, purtroppo, stimolano anche la delocalizzazione».
Lo scorso anno i formaggi italiani hanno praticamente raggiunto ogni angolo del mondo. La Francia rimane il primo Paese acquirente (82.234 tonnellate, + 8%) ma molto bene sono andati anche i mercati di Stati Uniti, Germania, Regno Unito, Cina, Giappone, Corea del Sud a cui si aggiungo performance interessanti nei Paesi Baltici e dell’Est Europa. Con oltre 123mila tonnellate, i formaggi freschi sono la categoria più esportata. Al top la mozzarella, le cui esportazioni sono cresciute dell’11% superando le 84mila tonnellate e generando un valore che supera i 392 milioni di euro. Al secondo posto grana padano e parmigiano reggiano, con 89mila tonnellate (+4,1%) e 820 milioni di euro (+7%). Significativo anche il contributo del gorgonzola, che supera le 20mila tonnellate e i 119 milioni di euro.
Roberto Iotti – Il Sole 24 Ore – 14 giugno 2017