di Attilio Barbieri. Alla Borsa merci di Modena il prezzo della carne continua a scendere. Nell’ultima settimana il calo è stato di 5 centesimi al chilogrammo che, sommati ai precedenti, fanno un -22 cent a partire da gennaio. Per un vitellone da carne questo per un allevatore significa incassare 165 euro in meno a capo. Nel frattempo però alimentare un bovino costa sempre di più e il prezzo della carne al consumo non scende, anzi: tende semmai a crescere. Costa sta accadendo, dunque? Come si spiega questo mistero? Forse anche per le carni di vitello e vitellone le quotazioni calano perché sta crescendo l’import, come sta accadendo un po’ in tutti i settori dell’alimentare? Domande che giro a Fabiano Barbisan, presidente del Consorzio Italia Zootecnica e di Unicarve.
«Non c’è una logica per spiegare cosa succede al tavolo della Borsa Merci di Modena», mi racconta, «una volta c’erano i mercati reali, le contrattazioni sul posto ed i prezzi verificabili, oggi, che non esistono più quei mercati, le Borsa Merci dei bovini sono diventate un luogo dove chi più alza la voce e spara dati, vince. Del resto, nessuno porta pacchi di fatture per dimostrare l’andamento dei prezzi e, pertanto, tutti sono autorizzati a dire la loro, forti del fatto che non esistono banche dati attendibili, in grado di fornire informazioni in tempo reale sull’andamento delle macellazioni, i consumi di carne, i prezzi di vendita al dettaglio».
È vero che incassate oltre 160 euro in meno per ogni capo? E a questi prezzi, un allevatore ci guadagna o ci rimette?
«Da inizio 2014 abbiamo registrato un ribasso di circa 22 centesimi al chilogrammo di peso vivo del bovino che, tradotti su un classico vitellone di circa 750 chili sono 165 euro che l’allevatore realizza in meno. Tenga conto che nello stesso periodo il costo dell’alimentazione, conti alla mano, è aumentato (ecco la tabella, ndA) e, da notizie che ognuno di noi, da consumatore, può rilevare nei punti di vendita, la carne non è certo diminuita di prezzo nella stessa proporzione».
Non è che i ribassi sono dovuti alle importazioni? L’Europa ha firmato con Stati Uniti e Mercosur un accordo proprio sulla carne. Quando è destinato a entrare in funzione? E cosa comporta?
«Le firme di validazione del protocollo d’intesa tra Unione Europea e Stati Uniti sono state poste il 21 ottobre 2013 e il 24 gennaio 2014. In Italia circola già carne americana che molti definiscono “ottima” per colore, tenerezza e succosità. Mi permetto di fare alcune considerazioni su questo: se gli animali vengono tenuti al pascolo per molto tempo, come fa la carne ad essere tenera, visto il grande movimento che i bovini fanno? Se mangiano per molto tempo erba, come fa la carne ad essere rosso rubino e succosa? Le consegno copia dell’accordo (ecco il link, ndA) che può essere un utile strumento per capire cosa l’Europa ha negoziato, già leggendo il titolo del protocollo».
Il ministero delle Politiche Agricole ha sbloccato il piano carni nazionale. Cosa dovrebbe succedere? È la volta buona per far decollare il marchio della carne italiana di qualità?
«È vero, il 15 aprile 2014, per noi allevatori, rappresenta una data storica per l’ufficializzazione della prima bozza di Piano Carni Bovine Nazionale da parte del Mipaaf, presentata al tavolo di filiera, con un documento che ha praticamente accolto tutte le nostre istanze. Ciò che secondo noi dovrebbe succedere, è un’approvazione rapida da parte di tutta la filiera per renderlo esecutivo e procedere con l’applicazione del Sistema di qualità superiore, con i disciplinari di produzione, e la registrazione da parte del Ministero di un marchio ombrello per identificare nei punti vendita, in modo inequivocabile, la nostra carne. Se ciò sarà realizzato le garantisco che sarà la volta buona per rivoltare la zootecnia e l’intera filiera come un calzino. Fermo restando che tutto il nostro progetto vada in porto come previsto dal Manifesto degli allevatori che le consegno per renderlo pubblico ai lettori di Etichettopoli, che sicuramente saranno molti ed interessati, vista la qualità delle inchieste e delle notizie che leggo».
Pubblicato da Attilio Barbieri – Etichettopoli.com – 3 maggio 2014
Si specula su carne e caffè. Pagano i consumatori
Dall’inizio dell’anno la quotazione dei chicchi neri è balzata dell’80% II manzo invece continua a calare, ma solo alla stalla non in macelleria
Le materie prime alimentari non finiscono mai di stupire. In questi giorni toma sotto i riflettori il caffè che alla Borsa merci di New York è schizzato a 207 centesimi a libbra, dai 110 scarsi dello scorso novembre. Un raddoppio capace di moltiplicare le ricchezze di quanti hanno cominciato a investirvi dalla fine dell’anno in poi. Opposto l’andamento della carne: alla Borsa merci di Modena la quotazione dei vitelloni ha perso dall’inizio dell’anno 22 centesimi al chilogrammo. Un’enormità se si considera che parliamo di prezzi all’origine. Ma andiamo con ordine.
Per il caffè valgono i discorsi di sempre: ad alimentare rialzi e cadute dei corsi sulle Borse merci è soprattutto la speculazione. Che fa leva però sui trend di mercato. Le regole sono queste, non da oggi. In questo caso a scatenare la corsa agli acquisti sono state le pessime condizioni climatiche in Brasile, uno dei maggiori produttori mondiali, con una siccità che ha impoverito i raccolti. Così, dopo una breve tregua legata proprio al miglioramento del meteo in Sudamerica, le quotazioni che già avevano guadagnato l’80% da gennaio sono tornate a salire verso l’alto. La varietà arabica, senza dubbio la più pregiata e quella che fa il mercato, è balzata appunto a 2,07 dollari all’oncia. Un salto che ha messo in allarme i trader specializzati sulle commodity in tutto il mondo. Il clima è tornato a essere secco in Brasile, da cui proviene più della metà dei chicchi di arabica prodotti nel mondo. Poca acqua per il caffè significa frutti ridotti in quantità ma soprattutto in peso. Fra gli agronomi, poi cresce la convinzione che le scarse piogge di marzo abbiano miglio rato di poco una situazione che nei mesi precedenti appariva drammatica: le precipitazioni di gennaio e febbraio sono scese al livello più basso degli ultimi trent’anni. E l’ultima volta che era accaduto le scorte di caffè erano scese al punto da triplicare i prezzi di mercato nel giro di pochi mesi. Queste le valutazioni all’origine, fatte dagli agronomi che ispezionano periodicamente le coltivazioni nello stato di San Paolo. Diversa è la musica per trader e speculatori. Se ci sarà una penuria di materia prima le quotazioni continueranno a salire. E giù ad aprire posizioni al rialzo. Se i costi dei chicchi neri sono già surriscaldati ora, nel giro dei prossimi due, tre mesi potrebbero diventare letteralmente roventi. Fra siti e portali Usa specializzati sulle commodity rimbalzano report più o meno attendibili che danno per sicuro un ulteriore raddoppio dei valori. Vedremo. Come al solito investire sulle materie prime è affare da cuori forti. Il piccolo risparmiatore che vi rischia dei soldi, quasi sempre li perde. Di sicuro il rialzo sulle Borse merci si avvertirà pure nella tazzina, anche se parliamo di una produzione che si trova tuttora sulle piante. Prepariamo già portamonete e portafogli perché oltre che al bar il rincaro colpirà sicuramente il mercato al consumo: caffè macinato e in grani, cialde e capsule.
Di segno opposto il trend della carne. Per lo meno sul mercato italiano. A fronte di prezzi al consumo stabili o in lieve ascesa, le quotazioni dei bovini sono in forte calo. Come segnala Fabiano Barbisan, presidente del consorzio Italia Zootecnica, «da inizio 2014 c’è stato alla Borsa merci di Modena un ribasso di circa 22 centesimi al chilogrammo di peso vivo del bovino. Tradotti su un classico vitellone di circa 750 chili sono 165 euro che l’allevatore realizza in meno». Tutto ciò mentre, proprio nei mesi che vanno da gennaio in poi, «il costo dell’alimentazione, conti alla mano, è aumentato». Mentre per il caffè le basi per motivare il rimbalzo esistono e sono oggettive, l’andamento della carne è inspiegabile. «Non c’è una logica per spiegare cosa succede al tavolo della Borsa merci di Modena», racconta Barbisan, «una volta c’erano i mercati reali, le contrattazioni sul posto e i prezzi verificabili, oggi, che non esistono più quei mercati, le Borsa merci dei bovini sono diventate un luogo dove chi più alza la voce e spara dati, vince. Del resto, nessuno porta pacchi di fatture per dimostrare l’andamento dei prezzi e, pertanto, tutti sono autorizzati a dire la loro, forti del fatto che non esistono banche dati attendibili, capaci di fornire in tempo reale informazioni sull’andamento delle macellazioni, i consumi di carne, i prezzi di vendita al dettaglio». In realtà una motivazione di fondo per spiegare la caduta dei bovini all’origine c’è pure. L’accordo recentemente firmato da Unione europea e Stati Uniti sulla liberalizzazione del commercio di carni sta portando da questa parte dell’Atlantico un numero crescente di mezzene. È lo stesso Barbisan a confermarlo: «L’ultima del protocollo d’intesa Ue-Usa risale al 24 gennaio scorso e in Italia circola già carne americana». Se fosse confermato la zootecnia made in Italy rischia l’estinzione.
Attilio Barbieri – Libero – 3 maggio 2014