È stato, per tanti italiani disorientati e impauriti, una delle poche certezze in questo anno e più di pandemia. Sarà, probabilmente, un elemento centrale anche nella «nuova normalità». Perché c’è poco da fare: prima ancora che un bene essenziale di nutrimento e consumo, il cibo per gli italiani «è un elemento che definisce la loro identità e la loro cultura», osserva Albino Russo, responsabile dell’Ufficio studi Coop. Terminata questa vicenda, «torneremo a sperimentare, ad avere voglia di innovazione, e lo faremo ancora una volta attraverso il cibo», aggiunge Russo.
Così come, viceversa, in questo periodo di smarrimento abbiamo cercato conforto e sicurezza proprio nel cibo, uno dei pochi beni di consumo che (oltre quelli per igiene e salute) in questi mesi hanno registrato un aumento delle vendite, con picchi di domanda per gli ingredienti e i preparati di base, ma anche per dolci e alcolici. Prima per necessità e poi per scelta, la pandemia ha spinto gli italiani a riscoprire piatti e sapori della tradizione, spiega Albino Russo citando i risultati dell’ultimo Rapporto Coop: alcuni trend alimentari registrati negli ultimi anni – ad esempio la passione per i prodotti etnici, i “super-food”o i cibi pronti – sono stati almeno in parte abbandonati, in favore degli alimenti 100% italiani, possibilmente locali, meglio ancora se a km zero. I consumatori hanno riscoperto il «fatto in casa», ma al tempo stesso hanno preferito alimenti confezionati e surgelati rispetto a quelli sfusi.
Una contraddizione solo apparente, spiega Marco Limonta, Business Insights Director di Iri: «La variabile tempo è stata fondamentale per spingere questa tendenza rinnovata alla preparazione in casa di piatti fino a poco più di un anno fa acquistati preferibilmente già pronti». Da un lato l’impossibilità di mangiare al bar o al ristorante, dall’altro la diffusione dello smartworking. Uniti però, osserva Limonta, a una crescente esigenza di sicurezza che ha spinto viceversa all’acquisto di prodotti confezionati, determinando un forte calo delle vendite al banco, e all’impennata di acquisti online anche in un settore, quello del food, finora rimasto ai margini del fenomeno e-commerce. Novità – tutte queste – che secondo Limonta resteranno anche a pandemia terminata, sebbene con numeri inferiori. «C’è anche un tema di impoverimento della popolazione, che potrebbe rallentare il ritorno ai consumi fuori casa – osserva l’analista –. Anche perché molte persone hanno imparato che cucinare da soli non è difficile, è conveniente e anche più sano, quindi probabilmente continueranno a farlo».
Albino Russo è dello stesso avviso: «Alcuni di questi elementi sono destinati a durare, inserendosi però in un percorso di innovazione: prenderemo la parte migliore della tradizione italiana ripempiendola di contenuti innovativi, legati soprattutto ai temi della sostenibilità sociale e ambientale, all’eticità dei prodotti, alla loro sicurezza e tracciabilità».
C’è infatti l’aspetto salutistico del cibo, che con la pandemia ha assunto connotati nuovi. «Il concetto di salute , rispetto al pre-Covid, mi sembra più orientato alla sicurezza alimentare, alla scienza dell’alimentazione, che al benessere in senso generico, aggiunge Russo. Meno semi di chia e più scienza, per intendersi. Smetteremo di volerci curare con i super-food e presteremo maggiore attenzione alla provenienza dei cibi e alla loro sostenibilità. Intesa a 360 gradi, precisa Silvia Zucconi, responsabile Market Intelligence di Nomisma: «Registriamo un crescente interesse per alimenti sostenibili dal punto di vista ambientale, con attenzione anche all’aspetto del packaging». Inoltre, il cibo deve essere anche etico e sostenibile da un punto di vista sociale: «Questo porta con sé una preferenza per alimenti o ingredienti locali, prodotti da piccole realtà aziendali», aggiunge Zucconi.
A tutto questo si lega anche la questione economica: a differenza della precedente crisi, si legge nel Rapporto Coop 2020, gli italiani non hanno finora ridotto la spesa alimentare e non sembrano intenzionati a sacrificare la qualità di ciò che mangiano. Un compromesso potrebbe essere rappresentato dai prodotti a marchio del distributore, spiega Zucconi, «che per i consumatori rappresentano qualità certificata e caratteristiche valoriali aggiuntive, ma a prezzo conveniente».