Il Corriere Veneto. «Porti pazienza ma qui c’è da ridere, con quello che abbiamo passato certa gente dovrebbe solo ringraziare di aver avuto salva la vita». Il dottor C.B., medico di base di Pianiga (Venezia) commenta così la notizia di essere stato indagato dalla procura di Padova per lesioni colpose. Lo ha denunciato un paziente che nel dicembre del 2020 si è ammalato di Covid. L’uomo, un 58enne di Vigonza, una volta dimesso dall’ospedale ha trovato un avvocato e ha deciso di chiedere giustizia: «Ho passato giorni senza riuscire mai a parlare con il mio medico, la sua segretaria è stata sgarbata e lui non ha mandato nessuno a curarmi», scrive nel suo j’accuse.
«Baggianate – risponde il medico – ero solo nell’ambulatorio di comunità, con un collega in rianimazione e un altro a casa ammalato, dieci chiamate al minuto, in piena emergenza ho prescritto il tampone, ho somministrato la cura farmacologica e ho mandato le Usca – spiega – ma anche questi medici erano impegnatissimi, ho perfino litigato con il direttore generale perché pensavo che le Usca fossero impiegate male, ho passato giorni e notti al lavoro per curare i miei pazienti e quelli dei colleghi». Punti di vista opposti che però fotografano bene quello che molti hanno vissuto dai due fronti della stessa malattia. Da un lato i pazienti sopraffatti dalla paura e chiusi in casa, dall’altro medici che affrontavano la seconda ondata di contagi, enormemente più grande della primavera 2020. Ecco che vale la pena raccontare la verità del paziente e quella del medico.
Il denunciante, che poi si è rivolto all’avvocata Alessia Paccagnella consulente dello Studio3A-Valore, specializzato in risarcimenti, ha raccontato di aver avvertito i sintomi del coronavirus il 7 dicembre, e di aver chiamato il medico decine di volte per avere la ricetta per fare il tampone. Infine la prescrizione è stata fatta, ma «è dovuta andare mia moglie a prendere la ricetta», perché nessuno gliela spediva. Una volta fatto il tampone, serviva avere la risposta, comincia così un’altra raffica di telefonate e solo la sera del 9 dicembre la segretaria sgarbatamente fornisce l’esito: il tampone è positivo. Dall’8 dicembre la febbre intanto continuava a salire, al paziente serviva una cura ma quando chiamava in ambulatorio il telefono era sempre occupato. Il 10 il dottore «risponde sgarbatamente», dice ancora il denunciante, e fa la ricetta per cortisone e antibiotico. Intanto il medico assicurava di avvisare le Usca, Unità speciali per la continuità assistenziale, che dovrebbero passare dal malato per monitorare la situazione, ma nessuno si fa vivo. Il 15 dicembre il paziente viene ricoverato in terapia intensiva prima a Camposampiero e poi al Sant’Antonio. Il 7 gennaio viene dimesso, dopo essersela vista brutta. Due mesi dopo, quando si riprende del tutto, scatta la denuncia.
Il racconto del medico è diverso. «Ricordo bene il signore, era mio paziente perché abitava a Venezia, poi è andato a stare dalla compagna a Vigonza, ma era rimasto in cura da me – spiega – quei giorni ero solo a seguire anche i pazienti di due colleghi malati, anche l’infermiera aveva il Covid, so per certo di aver prescritto il tampone il 9 dicembre e di aver dato l’esito due giorni dopo – spiega – ho prescritto le cure che facevamo all’epoca, Deltacortene, eparina e antibiotici, ho i messaggi e le mail che ci siamo scritti, tante volte i pazienti quando chiamano non lasciano messaggi in segreteria per cui noi non sappiamo che ci hanno contattati – aggiunge – ho chiamato le Usca che però mi hanno risposto che erano a fare i tamponi nelle scuole, e mi sono arrabbiato tantissimo, perché quello non era il loro compito, ho litigato anche con il mio direttore generale perché le Usca erano gestite male, poi ho saputo che il paziente era andato in ospedale – spiega – mi dispiace molto per lui ma ha avuto tutte le cure adeguate alla sua situazione, eravamo travolti dall’emergenza, abbiamo tutti dato il massimo».
Spetta alla pm Silvia Golin accertare i fatti, la polizia giudiziaria è già al lavoro.