La pandemia ha allungato le liste d’attesa e prosciugato il portafoglio di due italiani su tre, che per aggirarle si sono dovuti a rivolgere al privato, dove l’inflazione sanitaria galoppa, anche se con grandi differenze da una struttura all’altra. Solo che per la sanità privata in Rete non ci sono siti che con un click ti dicano dove andare e spendere di meno per una tac o una visita dal cardiologo, ragion per cui per molti assistiti il post-Covid si è rapidamente trasformato in una stangata. Che non ha risparmiato nemmeno le visite specialistiche fatte in regime di «intramoenia», ossia quelle effettuate dai medici ospedalieri pubblici in forma privata dentro gli stessi ospedali. Qui gli aumenti hanno oscillato tra il 10 e il 20% a seconda della specialità medica.
I farmaci a pagamento più diffusi hanno fatto a loro volta un balzo in avanti di oltre il 10% a inizio anno, il prezzario per visite mediche e accertamenti diagnostici, come tac, risonanze o ecografie in alcuni grandi gruppi sanitari privati è andato su in media del 25%, mentre la poltrona del dentista è diventata più costosa in un 30-40% dei casi per compensare i rincari del 9% del materiale odontoiatrico, come capsule o impianti, oltre a quelli del caro bollette che non hanno risparmiato nessuna struttura sanitaria. In particolare i laboratori diagnostici, più energivori degli altri.
Eppure a guardare le statistiche dell’Istat, mai pubblicate, alla voce «servizi sanitari e spese per la salute» nel triennio 2020-22 corrisponde un aumento dei prezzi del 2,5%, più accentuato per i servizi ambulatoriali, dove l’inflazione è stata del 3,3% e per i ricoveri, dove si è al più 3%. «Ma il problema – spiega Alessandro Solipaca, ricercatore Istat e direttore scientifico di “Osservasalute” della Cattolica di Roma – è che se i prezzi delle prestazioni sanitarie private crescono meno dell’inflazione generale, a livello di spesa è l’esatto contrario, perché a ogni euro in più speso per acquisti e prestazioni di vario genere ne corrisponde uno e mezzo per visite, accertamenti e ricoveri. Inoltre dietro quegli incrementi contenuti si nasconde una grande differenza nell’andamento dei prezzi da una struttura all’altra e a seconda dell’area geografica del Paese dove il dato è rilevato».
«La medesima prestazione può lievitare di oltre il 500% da una struttura sanitaria all’altra», conferma Laura Filippucci, economista e consulente di Altroconsumo, l’associazione che in una fotografia scattata di recente ha rilevato come le liste di attesa abbiano costretto il 70% di chi necessitava di una visita medica e il 60% di chi doveva sottoporsi a un esame diagnostico a rivolgersi a una struttura privata. Tanto che la spesa sanitaria sostenuta di tasca propria dagli assistiti è continuata a crescere, fino ad arrivare passo dopo passo a 39,7 miliardi di euro per un totale di 150 milioni di prestazioni erogate a 44,1 milioni di persone, ossia il 73% della popolazione, rileva il rapporto Rbm-Censis. Il che, fatti i debiti calcoli, significa che ogni italiano costretto a bussare dal privato ha prelevato alla fine dal conto circa 910 euro l’anno.
Ma si tratta di una media del pollo. Molto dipende infatti dal tipo di prestazione di cui si ha bisogno, perché un conto è fare un prelievo del sangue, un altro sottoporsi a un delicato intervento chirurgico. E poi a cambiare le carte in tavola ci sono le enormi differenze di prezzi da un privato all’altro. «A Torino, ad esempio – racconta Filippucci – una gastroscopia può costare dagli 800 ai 1.320 euro, a seconda del centro privato scelto. A Milano si passa dai 95 ai 620 euro per una risonanza magnetica alla colonna vertebrale. A Napoli, una visita ginecologica può costare da 30 a 150 euro, con una differenza pari al 400%. Ancora, a Genova, per l’ecografia addome completo si spendono dai 47 ai 140 euro (+198%). Le differenze di prezzo sono molto elevate anche per esami generalmente poco costosi come l’elettrocardiogramma: a Bari si va dai 15 ai 60 euro». In testa alla classifica della sanità privata più cara c’è Milano, seguita da Torino, Roma e Firenze. In fondo alla lista c’è Palermo che si è aggiudicata il titolo di città meno costosa per le prestazioni sanitarie private.
L’ecografia addome completo è tra gli esami più richiesti, pertanto se prenotato nel pubblico l’attesa è generalmente molto lunga. Nelle città come Milano, Roma e Palermo, di circa 50 giorni. «Nelle strutture private, invece – dice l’esperta di economia sanitaria – è possibile fare l’esame nel giro di soli 6 giorni. L’attesa supera le due settimane solo nel 6% dei casi. Anche in queste circostanze i prezzi sono molto variabili, tanto che in tutte le città prese in esame sono state riscontrate differenze di prezzo superiori al 100%». Ma ci sono esami i cui costi sono ancora più variabili. «È il caso, ad esempio, della gastroscopia – dice Filippucci – che può prevedere qualche opzione a pagamento, come la sedazione o una camera d’appoggio post-esame. Da aggiungere ulteriori 50-70 euro per la biopsia. Per questo esame si attende dai 6 ai 9 giorni e il costo più alto è di 800 euro, quello medio di 308 euro, incrementato del 12% rispetto al 2018».
Costi esorbitanti e quasi mai mediati da qualche forma assicurativa, che pesa ovviamente sui bilanci familiari, me che mette a riparo dal rischio di spese catastrofiche qualora ci si trovi a dover affrontare cure particolarmente costose che il servizio pubblico non riesce a garantire. O perché non le passa, o perché le fornisce con troppo ritardo. Ma l’inflazione morde anche polizze assicurative e casse mute integrative, per le quali nel 2021 gli italiani hanno speso 4 miliardi e mezzo, subendo un aumento annuo del 2,9%.
La nostra «Cara Sanità» però non è uguale per tutti. Secondo i dati del Ministero dell’Economia infatti coloro che hanno un reddito tra i 15 e i 20 mila euro detraggono in media 790 euro di spese sanitarie, tra i 50 e i 55 mila euro 1.240, che diventano 2.840 per chi vanta più di 300 mila euro. E gli altri? Aspettano o rinunciano del tutto alle cure, come non ha avuto scelta l’11,1% della popolazione, circa 6 milioni di italiani vittime di una sanità sempre più diseguale. —
La Stampa