Ecco perché quello della formazione dei nuovi medici è un tema da trattare con grande delicatezza come ha sottolineato anche uno studio messo a punto dall’Anaao Assomed, il principale sindacato degli ospedalieri, che ha stimato già dal 2030 32mila medici laureati in più rispetto ai pensionamenti. Lo studio calcola infatti che dal 2021 al 2030 – secondo i dati contenuti nel Conto Annuale dello Stato oltre che da Onaosi ed Enpam – circa 113 mila medici saranno collocati in pensione. Se a questo numero di pensionamenti si sottraggono i 145mila iscritti a Medicina nel periodo 2021/2030 stimati a invarianza di programmazione (come media degli accessi programmati per il 2021/2022/2023 proiettata a 10 anni) ecco che si ottiene questo primo surplus di laureati in Medicina.
Ma questo è solo il primo tappo, perché poi c’è il rischio che si crei come in passato un nuovo imbuto formativo dopo la laurea se a fronte dei 14mila laureati all’anno non corrisponderanno sempre altrettante borse per la specializzazione medica (che dura dai 3 ai 5 anni) che sono un passaggio ineludibile per ogni camice bianco che vuole lavorare in ospedale oppure sul territorio a esempio come medico di famiglia. Tra l’altro – avverte ancora lo studio targato da Anaao – se i posti aumenteranno ancora del 30% come ha promesso il ministro dell’Università senza un intervento costoso sui corsi di formazione post-lauream, si rischia di creare «tra 6 o 7 anni, un nuovo imbuto formativo e successivamente, persistendo le attuali limitazioni alle assunzioni del personale sanitario, un imbuto lavorativo, con circa 19mila laureati ogni anno a fronte di una offerta di formazione post-lauream ferma a 16.600 – di cui 14.500 contratti di formazione specialistica e 2.100 borse per la formazione in Medicina generale. E questo non farà altro che incentivare ulteriormente i medici a emigrare verso paesi europei o extraeuropei».
Insomma aumentare i posti a Medicina «in modo indiscriminato e senza una seria programmazione basata sui fabbisogni e le uscite per pensionamento rischia di tradursi in uno spreco di risorse, soprattutto in mancanza di prospettive occupazionali in Italia», avverte Carlo Palermo presidente di Anaao e uno degli autori dello studio.
Discorso diverso potrebbe esserci se a fronte di un grande aumento dei posti a Medicina «si cominciasse già oggi a prevede un maxi piano di rafforzamento degli organici per far fronte a nuove emergenza sanitarie o per riempire le nuove strutture sul territorio previste dal Pnrr o magari perché si vuole dare una risposta ai bisogni sanitari legati alla pressione epidemiologica indotta dall’invecchiamento progressivo della popolazione», aggiunge Palermo. «Ma – conclude – non mi sembra che questi pianti si vedano all’orizzonte».
Tra un decennio l’Italia rischia di avere fino a 10mila medici in più ogni anno rispetto al fabbisogno trasformando la grave carenza di camici bianchi emersa tragicamente in questi anni di pandemia in una pletora di disoccupati. Proprio in questi giorni, a partire da giovedì, cominceranno i nuovi test «Tolc» per i quasi 80mila candidati che sognano di aggiudicarsi uno dei 14.787 posti messi in palio per Medicina e che il ministro dell’Università Anna Maria Bernini punta a far crescere ancora del 30 per cento. Ma il rischio bolla è dietro l’angolo a causa appunto sia dell’aumento costante dei posti ai corsi di laurea a Medicina che potrebbe esplodere se si togliesse il numero chiuso come chiedono in molti anche dentro il Governo, ma anche per il fatto che i nuovi medici saranno pronti solo tra 10 anni (tra laurea e specializzazione) e quindi in coincidenza con il crollo delle uscite per pensionamento dei medici dal Servizio sanitario che tra il 2033 e il 2036 caleranno a poco più di 2mila l’anno facendo scendere il bisogno di nuovi camici bianchi. Un paradosso se si pensa invece alla grave carenza di medici di questi ultimi anni che invece è coincisa con il maxi esodo di pensionamenti che avviene tra i 65 e i 67 anni d’età e che si concluderà con il picco atteso nel 2026 con 5mila pensionamenti.
Ecco perché quello della formazione dei nuovi medici è un tema da trattare con grande delicatezza come ha sottolineato anche uno studio messo a punto dall’Anaao Assomed, il principale sindacato degli ospedalieri, che ha stimato già dal 2030 32mila medici laureati in più rispetto ai pensionamenti. Lo studio calcola infatti che dal 2021 al 2030 – secondo i dati contenuti nel Conto Annuale dello Stato oltre che da Onaosi ed Enpam – circa 113 mila medici saranno collocati in pensione. Se a questo numero di pensionamenti si sottraggono i 145mila iscritti a Medicina nel periodo 2021/2030 stimati a invarianza di programmazione (come media degli accessi programmati per il 2021/2022/2023 proiettata a 10 anni) ecco che si ottiene questo primo surplus di laureati in Medicina.
Ma questo è solo il primo tappo, perché poi c’è il rischio che si crei come in passato un nuovo imbuto formativo dopo la laurea se a fronte dei 14mila laureati all’anno non corrisponderanno sempre altrettante borse per la specializzazione medica (che dura dai 3 ai 5 anni) che sono un passaggio ineludibile per ogni camice bianco che vuole lavorare in ospedale oppure sul territorio a esempio come medico di famiglia. Tra l’altro – avverte ancora lo studio targato da Anaao – se i posti aumenteranno ancora del 30% come ha promesso il ministro dell’Università senza un intervento costoso sui corsi di formazione post-lauream, si rischia di creare «tra 6 o 7 anni, un nuovo imbuto formativo e successivamente, persistendo le attuali limitazioni alle assunzioni del personale sanitario, un imbuto lavorativo, con circa 19mila laureati ogni anno a fronte di una offerta di formazione post-lauream ferma a 16.600 – di cui 14.500 contratti di formazione specialistica e 2.100 borse per la formazione in Medicina generale. E questo non farà altro che incentivare ulteriormente i medici a emigrare verso paesi europei o extraeuropei».
Insomma aumentare i posti a Medicina «in modo indiscriminato e senza una seria programmazione basata sui fabbisogni e le uscite per pensionamento rischia di tradursi in uno spreco di risorse, soprattutto in mancanza di prospettive occupazionali in Italia», avverte Carlo Palermo presidente di Anaao e uno degli autori dello studio.
Discorso diverso potrebbe esserci se a fronte di un grande aumento dei posti a Medicina «si cominciasse già oggi a prevede un maxi piano di rafforzamento degli organici per far fronte a nuove emergenza sanitarie o per riempire le nuove strutture sul territorio previste dal Pnrr o magari perché si vuole dare una risposta ai bisogni sanitari legati alla pressione epidemiologica indotta dall’invecchiamento progressivo della popolazione», aggiunge Palermo. «Ma – conclude – non mi sembra che questi pianti si vedano all’orizzonte».
Tra un decennio l’Italia rischia di avere fino a 10mila medici in più ogni anno rispetto al fabbisogno trasformando la grave carenza di camici bianchi emersa tragicamente in questi anni di pandemia in una pletora di disoccupati. Proprio in questi giorni, a partire da giovedì, cominceranno i nuovi test «Tolc» per i quasi 80mila candidati che sognano di aggiudicarsi uno dei 14.787 posti messi in palio per Medicina e che il ministro dell’Università Anna Maria Bernini punta a far crescere ancora del 30 per cento. Ma il rischio bolla è dietro l’angolo a causa appunto sia dell’aumento costante dei posti ai corsi di laurea a Medicina che potrebbe esplodere se si togliesse il numero chiuso come chiedono in molti anche dentro il Governo, ma anche per il fatto che i nuovi medici saranno pronti solo tra 10 anni (tra laurea e specializzazione) e quindi in coincidenza con il crollo delle uscite per pensionamento dei medici dal Servizio sanitario che tra il 2033 e il 2036 caleranno a poco più di 2mila l’anno facendo scendere il bisogno di nuovi camici bianchi. Un paradosso se si pensa invece alla grave carenza di medici di questi ultimi anni che invece è coincisa con il maxi esodo di pensionamenti che avviene tra i 65 e i 67 anni d’età e che si concluderà con il picco atteso nel 2026 con 5mila pensionamenti.
Ecco perché quello della formazione dei nuovi medici è un tema da trattare con grande delicatezza come ha sottolineato anche uno studio messo a punto dall’Anaao Assomed, il principale sindacato degli ospedalieri, che ha stimato già dal 2030 32mila medici laureati in più rispetto ai pensionamenti. Lo studio calcola infatti che dal 2021 al 2030 – secondo i dati contenuti nel Conto Annuale dello Stato oltre che da Onaosi ed Enpam – circa 113 mila medici saranno collocati in pensione. Se a questo numero di pensionamenti si sottraggono i 145mila iscritti a Medicina nel periodo 2021/2030 stimati a invarianza di programmazione (come media degli accessi programmati per il 2021/2022/2023 proiettata a 10 anni) ecco che si ottiene questo primo surplus di laureati in Medicina.
Ma questo è solo il primo tappo, perché poi c’è il rischio che si crei come in passato un nuovo imbuto formativo dopo la laurea se a fronte dei 14mila laureati all’anno non corrisponderanno sempre altrettante borse per la specializzazione medica (che dura dai 3 ai 5 anni) che sono un passaggio ineludibile per ogni camice bianco che vuole lavorare in ospedale oppure sul territorio a esempio come medico di famiglia. Tra l’altro – avverte ancora lo studio targato da Anaao – se i posti aumenteranno ancora del 30% come ha promesso il ministro dell’Università senza un intervento costoso sui corsi di formazione post-lauream, si rischia di creare «tra 6 o 7 anni, un nuovo imbuto formativo e successivamente, persistendo le attuali limitazioni alle assunzioni del personale sanitario, un imbuto lavorativo, con circa 19mila laureati ogni anno a fronte di una offerta di formazione post-lauream ferma a 16.600 – di cui 14.500 contratti di formazione specialistica e 2.100 borse per la formazione in Medicina generale. E questo non farà altro che incentivare ulteriormente i medici a emigrare verso paesi europei o extraeuropei».
Insomma aumentare i posti a Medicina «in modo indiscriminato e senza una seria programmazione basata sui fabbisogni e le uscite per pensionamento rischia di tradursi in uno spreco di risorse, soprattutto in mancanza di prospettive occupazionali in Italia», avverte Carlo Palermo presidente di Anaao e uno degli autori dello studio.
Discorso diverso potrebbe esserci se a fronte di un grande aumento dei posti a Medicina «si cominciasse già oggi a prevede un maxi piano di rafforzamento degli organici per far fronte a nuove emergenza sanitarie o per riempire le nuove strutture sul territorio previste dal Pnrr o magari perché si vuole dare una risposta ai bisogni sanitari legati alla pressione epidemiologica indotta dall’invecchiamento progressivo della popolazione», aggiunge Palermo. «Ma – conclude – non mi sembra che questi pianti si vedano all’orizzonte».