di Rosanna Magnano. Camici bianchi ancora in stallo tra unità sindacale smarrita, stagione contrattuale da riavviare, legge Madia da riscrivere, rebus fabbisogni irrisolto e stabilizzazione dei precari tutta da concretizzare. Una serie di partite bloccate – che riguardano i medici ma più in generale l’assistenza ospedaliera e quindi la sanità italiana e le ricadute sui pazienti – soprattutto dall’incertezza politica cronica di questa lunga parentesi in attesa delle elezioni politiche, ormai quasi un miraggio. Il verdetto della Consulta sull’Italicum non ha infatti portato chiarezza. E non basterà neanche che la legge sia stata dichiarata dai giudici immediatamente applicabile. L’armonizzazione delle leggi elettorali per Camera e Senato potrebbe portare via altro tempo nonostante la voglia di urne esibita da varie forze politiche. Insomma, in conclusione, nessuno ad oggi è in grado di garantire il ritorno al voto a primavera o a giugno. Un interrogativo che aggiunge incertezze a incertezze. Innanzitutto sulle risorse per i nuovi contratti.
«Manca il Dpcm che deve spacchettare il Fondo istituito dalla legge di bilancio – spiega Costantino Troise, segretario nazionale di?Anaao Assomed – e decidere quante e quali risorse siano destinate al rinnovo del contratto. E poi l’Atto di indirizzo del ministro della Funzione pubblica, che mi pare di capire sia legato anche alla delega, che deve essere esercitata entro la fine di febbraio. Questi sono i due elementi necessari e sufficienti per aprire una stagione contrattuale. Gli altri temi sono tutti di contorno, non perché siano meno importanti ma perché necessitano di percorsi differenti e più lunghi».
Per ora è tutto fermo. «C’è un gran silenzio della politica e questo ci preoccupa – sottolinea Riccardo Cassi, presidente di Cimo – ma se si va a elezioni non ci saranno i tempi per riaprire il confronto». Anche se, va detto, il periodo pre-elettorale potrebbe anche funzionare da detonatore e accelerare le cose per non scontentare nessuno e conquistare consensi.
Poi c’è l’accordo Governo-triplice del 30 novembre che ha fatto storcere il naso alle principali sigle dei camici bianchi (Anaao, Aaroi, Cimo), perché nessuno le ha convocate, ma anche per la cosiddetta logica del «contratto alla Robin Hood», in cui «per arrivare a un aumento di 85 euro lordi bisognerà togliere a chi guadagna di più», ovvero la dirigenza, dimenticando che proprio quest’ultima «ha subito i maggiori tagli retributivi attraverso le decurtazioni dei fondi aziendali delle ultime finanziarie, compresa l’ultima del 2016», sottolineava la Cosmed, che a suo tempo definì «incredibile» l’accordo.
Ma secondo la Cgil questa lettura sarebbe fuorviante: «L’accordo è chiarissimo – spiega Massimo Cozza, segretario nazionale Fp Cgil Medici – e dice che si parte da una media di 85 euro come base per tutto il pubblico impiego. Anche se per ora i soldi nemmeno non ci sono. E poi c’è una frase: “verranno riconosciute le specificità”. Ed è talmente vero, che le ministre Madia e Lorenzin hanno fatto una dichiarazione congiunta in cui hanno rassicurato i medici sul fatto che il loro ruolo sarà riconosciuto. La logica della piramide rovesciata non può quindi valere in area medica. Dobbiamo andare sicuramente ben oltre gli 85 euro medi mensili. A me l’accordo del 30 novembre sembra un buon punto di partenza, che restituisce al contratto la primazia che merita e rende il sindacato di nuovo protagonista ai tavoli di contrattazione».
Appuntamento Lorenzin-sindacati: fari puntati sui fabbisogni?Ssn
Per il momento c’è un appuntamento, quello di domani 31 gennaio alle 15:00, con la ministra della Salute Beatrice Lorenzin, che ha convocato le sigle della dirigenza medica e sanitaria per discutere le «problematiche sul fabbisogno del personale della dirigenza del ruolo sanitario». Un incontro che segue l’onda mediatica sollevata dalle cronache (il caso del Pronto soccorso di Nola e dei pazienti sul pavimento) e dall’allarme della Fp Cgil – ultimo di una serie di studi diffusi dai sindacati negli ultimi mesi – sull’emorragia di 40.364 lavoratori della sanità dal 2009 al 2015. Di questi circa 8.000 medici.
Numeri che mal si conciliano con quel «metodo» per il calcolo dei fabbisogni ipotizzato dalla Commissione mista Regioni-ministero della Salute e fortemente criticato dai sindacati, Anaao in primis, perché «ritenuto palesemente inadeguato alla sanità – denuncia l’Anaao – sul piano tecnico e scientifico, essendo basato sulla definizione a priori di tempi medi di esecuzione delle prestazioni sanitarie. Pratica in uso nelle “catene di montaggio” manifatturiere, caratterizzate da lavori ripetitivi poco complessi, ben diversi da quelli effettuati in sanità».
Un algortimo, denuncia anche Cassi, presidente Cimo, «di fatto finalizzato a contenere i costi riducendo il numero dei medici. Ciò che veramente preoccupa è il tentativo di utilizzare il modello di ospedale per intensità di cure per standardizzare l’impiego dei medici secondo un concetto “tempo-dipendente” costruito, non in funzione della complessità clinica ma del peso economico della prestazione sanitaria. Il voler parametrare l’impegno clinico di un medico al solo peso economico è una follia soprattutto quando si ci trova di fronte a un sistema, quello dei Drg, considerato obsoleto e vera fonte di inappropriatezza».
Ma allora questi medici sono pochi o troppi? E poi una considerazione marginale: se il tempo della prestazione assistenziale diventa così centrale, che fine fanno concetti come umanizzazione delle cure e rapporto medico-paziente?
Tutto dipende dalla lente che si vuole utilizzare. E il problema, oltre a una riorganizzazione della rete ospedaliera realizzata a macchia di leopardo tra le Regioni, è proprio la scelta della lente giusta per individuare il fabbisogno di medici del Ssn.
Una decisione che dovrebbe essere finalizzata a ottimizzare i costi, ma anche ad assistere adeguatamente i pazienti e a far fronte all’obbligo di rispettare l’orario di lavoro europeo. E soprattutto un metodo – sottolineano le sigle dei camici bianchi – che avrebbe dovuto essere definito in condivisione con i sindacati.
Medici precari nel labirinto
Intanto i piani regionali per le assunzioni sono in grande ritardo e per le procedure concorsuali è in arrivo una proroga di un anno. «La partita sui fabbisogni era prevista dall’articolo 22 del Patto per la Salute, ma la sua sorte è ora avvolta nelle nebbie della crisi di governo – continua Troise – e della data delle elezioni. Tanto che le Regioni ormai fanno da sè. Come il?Veneto, con un sistema che l’Anaao condivide appieno. O come qualcun’altra che si affida a metodi strani – con il cronometro per misurare le prestazioni – che il Mef prova a imporre alle regioni in piano di rientro. Il risultato è che in questo modo si registra un’eccedenza di medici e si sacrifica su questo altare ogni processo di stabilizzazione dei precari. Qua e là qualcosa si muove anche per le pressioni sindacali, come nel Lazio, in Campania e in Emilia Romagna. Ma in?Sicilia ad esempio siamo all’anno zero, in attesa di una riorganizzazione degli ospedali che ormai fa parte della mitologia».
In corsia la precarizzazione progressiva del lavoro medico non conosce freni e la giungla dei contratti si infittisce. Soprattutto in un settore particolarmente sotto pressione come quello dell’Emergenza e della rianimazione. «C’è una deriva – sottolinea il presidente nazionale Aaroi-Emac, Alessandro Vergallo – verso la privatizzazione del lavoro in ambito pubblico. Si usano contratti libero professionali a partita Iva. Medici che vengono pagati di meno e sfruttati senza rispetto delle norme sui riposi, che lavorano anche 24 ore di seguito. Precari ormai in età matura che lavorano con contratti di tre mesi e che solo il giorno prima della scadenza riescono a sapere se ci sarà o no un rinnovo. Non a caso i medici hanno sempre più difficoltà a formare una famiglia e si rimanda sempre di più la decisione di fare un figlio». La sanità italiana è anche questo.
Rosanna Magnano – Il Sole 24 Ore sanità – 31 gennaio 2017