Lavorano più di quanto preveda il contratto, tanto di più. In media, 250 ore all’anno di sforamento. E solo il 25% di questa attività straordinaria viene pagato, il resto è gratis. Il «resto», per rendere l’idea, corrisponde all’incirca aun mese ogni dodici non retribuito. E’ il regalo che i medici ospedalieri continuano a fare alla sanità italiana.
Succede dappertutto, anche in Veneto: se a Padova è diventata un’emergenza, a Verona «la situazione è sotto controllo ma», conferma il presidente dell’Ordine dei medici scaligero Roberto Mora, «ma il rischio che anche qui diventi un problema cronico è reale. Nel giro di poco andrà in pensione una fetta consistente di colleghi tra i 55 e i 60 anni e se non si sbloccherà il turn over diventerà impossibile garantire l’ordinaria attività in corsia». E poi: «Non credo ci siano tante altre professionisti al mondo che lavorano gratis per così tante ore: un mese all’anno è tantissimo. Abbiamo la responsabilità enorme di curare chi è ammalato, se lo facciamo sotto stress non è sicuro per nessuno, per i pazienti in primis». L’assessore della sanità del Veneto Luca Coletto ha chiesto a Roma poco più di un centinaio di nuove assunzioni per il fabbisogno di tutta la regione a fronte degli 8.500 ospedalieri attualmente in organico. Praticamente, quasi nulla. Solo all’azienda universitaria integrata di Verona, sempre per farsi un’idea, i dottori in servizio sono 888, gli infermieri 2.168. Detto che lavorare «in più» e gratis non piace a nessuno, c’è un altro aspetto che appesantisce lo stato di agitazione della categoria: la legge europea su turni e riposi, la 161 del 2014, impone ai camici bianchi il massimo di 48 ore di lavoro settimanale, compreso lo straordinario, il che significa almeno 11 ore consecutive di «stacco» al giorno.
Chi non rispetta il diktat e lavora di più, ci rimette doppiamente: primo perché si fa carico di turni massacranti, secondo perché l’assicurazione, nel caso di malpractice, non copre i danni». A spiegarlo è AnnaTomezzoli, referente Anaao dell’azienda ospedaliera veronese (è il sindacato con più iscritti in Italia della categoria), tirando in ballo il triste motivetto «oltre al danno, la beffa». «Stare in ospedale più di quanto previsto dalla normativa», spiega, «diventa pericoloso non solo per la qualità del servizio che potrebbe essere lacunoso più che virtuoso, ma soprattutto perché in caso di guai a risarcire il paziente non ci sarà più la polizza professionale ma il medico di tasca propria. L’azienda ospedaliera è quindi molto attenta all’applicazione delle 11 ore di risposo con noi strutturati ma c’è tutta la fascia degli specializzandi che, non timbrando il cartellino ma essendo borsisti dell’università, sono più difficili da monitorare. Loro, purtroppo», conferma Tomezzoli, «talvolta sono messi nella condizione di stare in reparto anche 13-15 ore di fila, capita che lavorino tutto il giorno e poi siano di guardia oppure fatta la notte si fermino in reparto: invece di andare a casa, si infilano in sala operatoria e ci stanno finché sono finiti gli interventi m programma».
E confessa: «Le aree chirurgiche sono quelle più critiche da questo punto di vista anche se, va detto, la nostra azienda sta sempre attenta al rispetto dell’orario di lavoro». La causa, nota da anni, è sempre quella della «mancanza di personale». «Se non si comincia ad assumere», conlude Tomezzoli, «presto gli ospedali, anche quelli del virtuoso Veneto, si troveranno nella impossibilità di coprire il fabbisogno ordinario. Che succederà? Salteranno certe attività, gli ambulatori, ad esempio, saranno sacrificati a vantaggio della corsia. Si allungheranno le liste. E si programmeranno meno interventi».
L’Arena – 14 dicembre 2016