Specializzandi in corsia, incentivi per convincere i medici a non andare in pensione, temporanea sospensione del numero chiuso all’università. Sono le misure allo studio del governo per fronteggiare la grave carenza di camici bianchi. «Un problema che conosciamo fin troppo bene, da anni – spiega il sottosegretario alla Sanità Luca Coletto – che ha all’origine mille-e-una cause diverse. Basti questo: ogni anno dalle università italiane escono 10 mila laureati in medicina. Di questi, solo 6 mila poi riescono ad accedere alle specializzazioni».
E gli altri 4 mila, che fanno?
«I disoccupati di lusso, purtroppo. Un fenomeno negativo che è una beffa per le famiglie, che magari hanno fatto studiare i figli tra mille sacrifici, ma anche per la collettività, visto che buona parte della retta universitaria è pagata con soldi pubblici».
Il governo come intende intervenire?
«Prima facciamo un passo indietro, perché alcuni di noi non si svegliano oggi: già nel 2014, quando fu scritto il Patto della Salute, all’articolo 22 era stata prevista la reintroduzione della “specialità parallela”, ossia la pratica fatta trent’anni fa dai medici che oggi vanno in pensione».
E come finì?
«Finì che il ministero dell’Istruzione, insomma, l’università, si oppose con forza e quell’articolo fu tra i pochi che non vennero poi recepiti in legge. E questo nonostante tutte le Regioni fossero d’accordo».
Ora il Veneto ci riprova. Il Piano socio sanitario prevede di utilizzare i neolaureati nei reparti. Si rischia di finire alla Corte costituzionale?
«Dal punto di vista normativo non mi pronuncio, toccherà ai giuristi. Sul piano pratico, come potrei essere contrario visto che è esattamente ciò che volevamo fare nel 2014? Le dirò di più: l’intenzione è quella di riproporre quella norma tale e quale, ovviamente dopo aver coinvolto i sindacati e le università. Ma non vedo perché dovrebbero opporsi, tutto si svolgerebbe sempre sotto la supervisione del primario».
È favorevole al richiamo in servizio dei dottori in pensione?
«Prima di richiamarli sarebbe meglio evitare di mandarli in pensione».
Come ha fatto il governo con «Quota 100»…
«Quota 100 facilita le uscite, è vero, per cui, rispettando la volontà del singolo, vanno trovati gli strumenti adeguati per permettere a chi sarebbe disponibile di rimanere in corsia. Servono incentivi».
Di che entità?
«Per stabilirlo occorrerà un’analisi costi-benefici».
Abolirete il numero chiuso?
«È l’obiettivo, anche per un periodo soltanto, il tempo necessario a tamponare l’emergenza che si è venuta a creare. Insisto, stiamo andando incontro ad una transizione che si può affrontare solo con misure diverse e integrate tra loro».
Tra queste c’è pure l’aumento dei fondi per le borse di specializzazione?
«Credo che la “specialità parallela” ci consentirà di superare il problema della mancanza di risorse per le borse, alleviando i settori più critici, dalla chirurgia all’anestesia e l’ortopedia».
L’autonomia permetterà alla Regione di migliorare la programmazione e disporre di più fondi?
«Con l’autonomia vogliamo rendere strutturali le misure di cui le ho parlato ed è innegabile che aumenteranno le possibilità di spesa. In questo senso, dopo aver mancato la chance data dal decreto Semplificazioni, alla prima occasione utile riproveremo ad eliminare per le Regioni con i bilanci in ordine da 6 anni il limite imposto dal Salva Italia di Monti che prevede di avere nel 2020 la stessa spesa sanitaria del 2004 ridotta dell’1,4%».
Il Corriere del Veneto