La miccia è il Patto per la salute 2019-2021 che secondo il decreto fiscale dovrà essere chiuso entro il 31 dicembre, in tempo per provare a recepire alcune misure proprio nella legge di bilancio. Come quelle sulle nuove assunzioni negli ospedali per arginare l’allarme carenza medici e infermieri su cui le Regioni chiedono di fare in fretta. Ma il ministero dell’Economia, nonostante le convergenze di Salute e Regioni, mette più di un paletto, frenando innanzitutto sull’ipotesi avanzata nel Patto – il confronto tecnico procede senza sosta – di rivedere i tetti di spesa sul personale (oltre il 5% dell’aumento del Fondo sanitario previsto dal decreto Calabria). Riserve del Mef (con la richiesta di un parere della Funzione pubblica) anche su altre misure straordinarie anti-carenza: come quella di consentire fino al 2022 ai medici specialisti «su base volontaria e per esigenze dell’azienda – si legge nell’ultimissima bozza di Patto – di permanere in servizio anche oltre il limite di 40 anni di servizio effettivo.. e comunque non oltre il settantesimo anno di età». Sotto la lente anche l’ipotesi di «stipulare contratti di lavoro autonomo anche per lo svolgimento di attività ordinarie». Nessun rilievo invece sulla possibilità di pescare i nuovi assunti dalle graduatorie dei concorsi già svolti.
L’altro capitolo caldissimo del Patto salute che sta molto a cuore alle Regioni è il superamento del vecchio modello di commissariamento. La bozza del Patto prevede innanzitutto il ritorno dei governatori-commissari, ma su questo punto resta il parere contrario del Mef, con la Salute che tenterà di sciogliere il nodo a livello politico. I vecchi piani di rientro – ora che i conti sono tornati in ordine nella maggior parte delle Regioni (Calabria esclusa) – nella proposta del ministero della Salute saranno sostituiti da «interventi di potenziamento dei Lea» in una complessa procedura che vedrà coinvolto Comitato Lea, Regioni e ministero e che in caso di inadempienze aprirà le porte ai commissariamenti. Su questo il confronto con i presidenti è ancora in alto mare: nel mirino soprattutto i criteri con cui stabilire con chiarezza quando una Regione può uscire dalla “tutela” del Governo (si punta alla raggiunta sufficienza per almeno due livelli di assistenza su tre: prevenzione, ospedaliera e distrettuale). Il fronte del no dalle Regioni – questa volta affiancate dal Mef – rispetto all’ipotesi di commissariamento per mancato raggiungimento dei Lea è ampio. Tanto più ora che le principali amministrazioni del Nord a trazione leghista (ma non solo, perché c’è anche l’Emilia Romagna) tornano a spingere sull’autonomia. «Al commissariamento così come è stato presentato dai tecnici di Speranza la maggioranza delle Regioni si oppone – spiega il coordinatore degli assessori Luigi Icardi -: alle nostre richieste di maggiore autonomia la Salute contrappone meccanismi centralistici non accettabili che prevedono il commissariamento automatico al di sopra di una determinata percentuale».
Intanto ci si accapiglia pure sulla mobilità. Le Regioni bollano la proposta del ministero come «cervellotica»: anche in questo caso si prevede una forte tutorship nazionale, con un programma Governo-Regioni che dovrebbe salvaguardare solo la mobilità fisiologica dei pazienti quando si spostano per cure di alta specialità e imbrigliare tutti i casi di migrazione dovuti a carenze locali. Per trattenere i pazienti in loco si contemplano – ma il Mef condiziona il via libera all’invarianza dei costi – piani di sviluppo degli ospedali pubblici e privati e la verifica di compatibilità tra tetti di acquisto delle prestazioni e piani di recupero della mobilità. C’è poi la lente d’ingrandimento annunciata sugli operatori accreditati, da sottoporre a un «controllo di appropriatezza» tramite un set di indicatori «oggettivi e misurabili».
In manovra infine dovrebbe entrare la soluzione del payback farmaceutico 2018, mentre per la revisione dei due tetti di spesa (ospedaliera e convenzionata) cuore della nuova governance farmaceutica i tempi saranno molto più lunghi.