(di Elena Dusi e Clemente Pistilli – repubblica.it) – È inverno, i denti battono per la febbre e la coperta è sempre troppo corta. A restare esposta durante la peggiore epidemia di virus respiratori degli ultimi vent’anni in Italia è ancora una volta la solita parte. I pronto soccorso.
In Lombardia ieri gli accessi sono stati il 40% in più della media: 7.500. Uguale percentuale di aumento in Toscana, con 1.200 pazienti in 24 ore. «Le persone con urgente bisogno di ricovero da noi sono aumentate del 20% da capodanno» aggiunge da Palermo Massimo Geraci, primario di emergenza-urgenza all’Ospedale Civico. «È l’effetto della carenza di posti letto negli altri reparti degli ospedali» spiega Rossella Melodia, dirigente del Pronto soccorso del Policlinico di Bari.
Una delle situazioni più gravi si registra a Roma, nonostante i 33 milioni di investimento della Regione Lazio guidata da Francesco Rocca, diretti soprattutto alle strutture private. Ieri sera in attesa su una sedia di plastica o una barella nel Lazio c’erano 2.500 persone. Mille, già visitate, aspettavano un letto per il ricovero nel reparto adatto. In 680 sono parcheggiate in questa situazione – chiamata boarding – da più di 24 ore.
Sotto accusa sono finiti i medici di famiglia in ferie. «Il 50% delle persone in attesa nei pronto soccorso ha problemi minori, che possono essere gestiti sul territorio» dichiara Stefano Barone, segretario del sindacato degli infermieri Nursind per la provincia di Roma.
Anche il segretario della Fimmg di Roma, Pier Luigi Bartoletti, respinge le accuse: «Nei giorni festivi e prefestivi i nostri studi sono chiusi di norma. In noi si vede come sempre un capro espiatorio. Quanto sta avvenendo era ampiamente previsto e chi ha responsabilità organizzative non ha mosso un dito». In Campania, fa notare Luigi Sparano, segretario regionale Fimmg, «abbiamo ormai 1.400 pazienti per ciascun medico».
La crisi dei pronto soccorso oggi è in effetti il risultato di una coperta tagliata da troppi lati. Il lato del territorio: con 10mila medici di famiglia in meno negli ultimi dieci anni (da 45mila a 35mila), 283 milioni di prestazioni in meno, ospedali e case di comunità che non decollano. Il lato dei professionisti: il sistema sanitario ha perso 30mila medici sempre in dieci anni. In medicina d’urgenza il 60% dei posti di specializzazione resta vacante. Il lato infine degli ospedali: 111 ne sono stati chiusi nel decennio, con 39mila posti letto tagliati e 2,8 milioni di ricoveri in meno.
In Lombardia – non l’unica Regione d’altra parte – l’assessore al Welfare Guido Bertolaso ha sospeso a tempo indeterminato i ricoveri programmati (cioè rimandabili) e ha chiesto di rinviare a dopo il 15 gennaio gli interventi chirurgici non urgenti nell’Ats di Milano.
«E chi resta con le spalle al muro? Noi. Puoi scaricare il barile quanto vuoi, ma alla fine c’è qualcuno che non ha più altri a cui passarlo». Fabio De Iaco è entrato nel pronto soccorso di cui è direttore, al Maria Vittoria di Torino, ieri mattina e non uscirà che a sera tarda. Non riesce a parlare più di 10 secondi con la stessa persona, travolto dalle urgenze. Eppure il presidente della Simeu (Società Italiana di medicina dell’Emergenza e Urgenza) un numero ce l’ha, che vuole condividere: 18mila all’anno in Italia. «Sono le persone che perdono la vita in pronto soccorso 24 ore dopo l’arrivo. Non sono i pazienti talmente gravi da morire subito. Sono i pazienti che in 24 ore avrebbero dovuto trovare un letto in un reparto consono. È questione di dignità, oltre che di medicina».
Il boarding tra l’altro succhia a un reparto d’emergenza il 30% di risorse che sono già al lumicino. Le prestazioni nei pronto soccorso italiani sono ogni anno 20 milioni. Il 60% riguarda casi poco gravi. «In questo periodo però – dice De Iaco – i virus respiratori picchiano duro. Abbiamo scorte limitate di ossigeno e ci facciamo prestare i ventilatori da altri reparti. La coperta così è diventata davvero troppo corta».