Il Mattino di Padova. Lavorare meno e guadagnare di più. La formula magica nei desideri di chiunque sia chiamato a sgobbare a tempo pieno per portare a casa lo stipendio, troppo spesso sacrificando sull’altare della responsabilità o della carriera, vita familiare e interessi personali. Per i medici si è aperta un’autostrada in questo senso, tracciata sul solco – paradossalmente – della carenza di camici bianchi. Gli ospedali bandiscono i concorsi che vanno deserti, e sono quindi costretti a cercare liberi professionisti o cooperative che forniscono medici. Risultato: li pagano di più a fronte di un minor numero di ore lavorate. Mille euro al mese in più anche, con oltre dieci ore di attività – e tante incombenze – in meno.
Sul ricorso ai medici in libera professione e alle cooperative si alza la protesta di Anaao e Anpo (associazioni sindacali di dirigenti medici e primari). Non da oggi per altro. Senza puntare il dito contro i camici bianchi, bensì contro un sistema – quello dell’ospedale pubblico – che non sa valorizzare il suo “capitale umano”, incapace di essere attrattivo e appetibile.
LA SITUAZIONE PADOVANA Uno dei reparti che maggiormente soffre la carenza di specialisti è il Pronto soccorso. L’Usl 6 Euganea è stata costretta ad affidare un incarico alle cooperative Mst Group srl con Bmc H24 Assistance e alla castel Monte Società Cooperativa, tutti i servizi del Punto di Primo soccorso di Montagnana e una parte dei servizi Suem 118 peri codici minori – a Cittadella, valore 1,2 milioni di euro nel primo caso, 760 mila euro nel secondo. Entrambi gli affidamenti per un anno. Alle stesse cooperative era stato affidato per i mesi di maggio e giugno il medesimo servizio 118 anche per i Pronto soccorso di Piove di Sacco e Camposampiero, 180 mila euro in tutto. Nel frattempo l’Usl ha rilanciato i concorsi, andati di nuovo, desolatamente, deserti. Ed è di pochi giorni fa la delibera che assegna incarichi in libera professione per sopperire, ancora, alle carenze nei suoi Pronto soccorso. Ma altri casi non mancano sia nell’Usl che nell’Azienda ospedaliera universitaria: in libera professione sono stati chiamati anche pediatri, chirurghi, psicologi, urologi, educatori.
LAVORO E BUSTA PAGA Contratti e lettere di incarico parlano chiaro: un medico libero professionista o fornito dalla cooperativa, percepisce 720 euro per ogni turno di 12 ore, con un massimo di 12 turni mensili. Totale 144 ore e 8.640 euro, dedotte tasse, contribuiti e balzelli restano almeno 4.250 euro. Un medico dipendente dell’ospedale con almeno 5 anni di anzianità arriva a uno stipendio di 3.500 euro netti. Però lavorando 160 ore invece delle 144 del collega libero professionista o fornito dalla coop, con corollario di straordinari, incombenze burocratiche, e rapporto di dipendenza. Ad anestesisti e rianimatori in libera professione il Policlinico padovano assicura 960 euro per turni di 12 ore “a chiamata”.
IL SISTEMA DERAGLIA “L’aspetto economico c’è ma non è l’unico che rileva” sottolinea Mirko Schipilliti, dirigente medico nel Pronto soccorso dell’ospedale Sant’Antonio di Padova, nella direzione nazionale e segreteria regionale dell’Anaao, “il problema vero però è nel lavoro. Il medico diventa un mercenario, non so con quale grado di appagamento professionale lavori in questo modo. Ospedale vuol dire équipe, confronto fra colleghi di diverse discipline, una sinergia dentro la quale viene preso in carico il paziente. Personalmente non so quanto possano durare questi medici e soprattutto quanto possa durare il sistema sanitario. Si rischia che vada in tilt completamente senza una riformulazione radicale”. Giampiero Avruscio, presidente Anpo nell’Azienda ospedaliera universitaria di Padova affronta la questione a monte: “Il problema è lo sfaldamento degli ospedali pubblici: da anni si sta verificando la fuga di medici e infermieri a causa della scarsa valorizzazione e a maggior ragione a Padova dove la categoria è la meno pagata del Veneto. Chi ha competenze le va a spendere dove è meglio valorizzato e questo passa ovviamente anche attraverso la gratifica economica. Il cittadino che sopporta attese e disagi se la prende con il medico o l’infermiere di turno che però sono vittime come lui di questo sistema. L’esperienza drammatica della pandemia doveva insegnare qualcosa sull’importanza del servizio sanitario pubblico e degli ospedali – perché è lì che va il cittadino che sta male – invece ancora una volta la politica è sorda, muta e cieca. Ma se non si saprà render nuovamente attrattivo e appetibile l’ospedale per i professionisti, medici e infermieri, sarà sempre peggio”