Dataroom di di Milena Gabanelli, Andrea Priante e Simona Ravizza
I problemi disastrosi che ci troviamo ad affrontare oggi per la mancanza di medici sono la conseguenza di errori del passato. Errori gravissimi che abbiamo già denunciato (qui il Dataroom del 31 ottobre 2022): da un lato lo storico blocco del turnover (per 15 anni a fronte di 100 medici andati in pensione 10 non sono sostituiti); dall’altro il divario enorme fra il numero di dottori che lasciano il servizio Sanitario nazionale per raggiunti limiti di età e il numero di nuovi entrati dalle Scuole di specializzazione (tra il 2015 e il 2022 il saldo negativo tra pensionati e nuovi specialisti è di 15.585). Entro il 2027 però i numeri fra uscite e ingressi sono destinati a tornare in equilibrio, visto che è partita la corsa per aumentare i contratti di formazione nelle Scuole di specialità. Peccato che non sia questa l’unica ragione per cui i concorsi vanno a vuoto negli ospedali che cercano medici. Come spesso accade i numeri tornano solo sulla carta, vediamo perché.
Concorsi e candidati
Per capire cosa si nasconde dietro le statistiche ufficiali abbiamo fatto una raccolta di dati a tappeto, chiedendo alle Regioni di individuare quali concorsi espletati non consentono la copertura dei posti per la carenza di aspiranti, soprattutto per alcune specialità critiche. Ecco i casi più eclatanti, relativi al 2022 e 2023, che ci è possibile raccontare grazie alla collaborazione di alcune Regioni e Asl, perché non tutte lo hanno fatto. Partiamo dai Pronto soccorso che più di tutti soffrono per la carenza di personale. In Lombardia per 1 posto al Papa Giovanni XXIII di Bergamo e 1 agli Spedali Civili di Brescia, considerati entrambi tra i più importanti Pronto soccorso lombardi, si presentano rispettivamente in 30 e in 16; per 6 posti agli ospedali Fatebenefratelli e Sacco, centrali per Milano, sono arrivate 22 domande; per 4 posti al San Matteo di Pavia, altro punto di riferimento come abbiamo capito durante la pandemia Covid, 10 domande. Nessuna invece per i 10 posti a tempo indeterminato al Pronto soccorso di Rho, hinterland milanese e per i 4 di Crema, piccolo Ps di provincia.
A Bologna dall’agosto 2021 al settembre 2022 vengono fatti 6 concorsi per trovare un medico di Pronto Soccorso per gli ospedali di Porretta Terme e di Vergato, entrambi sull’Appennino bolognese: il bando va deserto 3 volte, altre 3 si presentano 2-3 candidati che poi o non si fanno vedere al concorso o, quando lo fanno, poi rifiutano l’incarico. Al concorso invece del maggio 2023 per 3 posti al Policlinico Sant’Orsola e per le Usl di Bologna e Imola si presentano subito in 20.
Le aspirazioni dei medici
Cosa ci dicono questi esempi? Che i medici di Pronto soccorso sono pochi con turni sempre massacranti e, giustamente, scelgono gli ospedali più attrattivi, cioè preferiscono comprensibilmente lavorare dove c’è più casistica e quindi possono crescere professionalmente. Ma i numeri difficilmente aumenteranno visto che, come documentano i dati dell’Associazione liberi specializzandi di Massimo Minerva, il 74% dei posti 2023-2024 nelle Scuole di specialità per Medicina d’emergenza-urgenza è rimasto vuoto. I neolaureati in Medicina sono restii a fare specialità con turni massacranti, rischiose e che non si prestano a fare le visite private che portano lo stipendio a lievitare.
Il problema su larga scala
E anche in altre specialità i posti negli ospedali minori sono destinati a essere riempiti difficilmente, mentre per i posti più prestigiosi c’è la fila di candidati. Nelle Marche l’azienda sanitaria di Macerata conta tre ospedali (Camerino, San Severino, oltre a quello della stessa Macerata) nell’entroterra, nella zona cosiddetta del «cratere sismico» (perché il rischio di terremoti è più elevato): al concorso per 2 posti di Anestesia e rianimazione si presenta un unico candidato, che poi non risultata neppure idoneo. Per la stessa specializzazione invece l’ospedale di Ancona (l’unico di 2° livello dell’intera regione) riceve 18 candidature per 4 posti. Quindi, pur di attirare personale sanitario nella «zona del cratere», a chi sceglie di risiedervi la Regione offre la casa e incentivi fino a 12 mila euro l’anno.
Prendiamo l’Asl Toscana Centro: nel 2023 i ginecologi che rifiutano un’assunzione all’ospedale di Santa Maria Annunziata di Firenze sono 2; in quello di Empoli 16. Idem per la Pediatria: 6 le rinunce al Santa Maria Annunziata di Firenze, 31 a Empoli. Entrambe le attività mediche si prestano alla libera professione e probabilmente nella valutazione dei medici su dove lavorare conta anche questo. La difficoltà a trovare medici da assumere nell’ospedale dell’Isola d’Elba spinge la Regione a fare questa proposta: «Dopo 3 anni all’Isola d’Elba puoi scegliere in quale ospedale di Livorno, Lucca e Pisa lavorare; dopo 6 in quale di tutta la Toscana». In più la busta paga viene aumentata di 5-10 mila euro l’anno.
Andata a vuoto la ricerca di ginecologi al Civile di Venezia in città storica nonostante l’azienda sanitaria per incentivare le assunzioni metta a disposizione camere a 300 euro al mese nella foresteria e appartamenti a prezzi calmierati (dai 305 ai 732 euro al mese). A gennaio 2024 i vuoti d’organico devono essere coperti con l’ingaggio di 6 specialisti in libera professione a 90 euro all’ora (quasi il doppio dei 52 euro all’ora di un assunto). L’ospedale Dell’Angelo di Mestre, sempre a Venezia ma in terraferma, riesce invece ad assumere subito i 4 ginecologi di cui ha bisogno.
Poi c’è il caso Sud, in difficoltà cronica. Solo negli ospedali della Sicilia mancano 174 medici ad Agrigento, 154 a Caltanissetta, 159 a Catania, 116 a Enna, 169 a Messina, 210 a Palermo, 96 a Ragusa, 87 a Siracusa e 201 a Trapani. Complessivamente il fabbisogno è di 1.494 dottori.
Le soluzioni-tampone
Per coprire i vuoti d’organico soprattutto dopo il Covid vengono adottate misure-tampone. I gettonisti, innanzitutto: il loro ingresso in massa nei Pronto soccorso spesso non garantisce la qualità delle cure ai pazienti (qui il Dataroom del gennaio 2023). Gli ospedali appaltano la copertura dei turni – di solito la notte, nei fine settimana e nei festivi – alle cooperative che i medici, invece, li hanno perché ingaggiano neolaureati, pensionati, liberi professionisti e chi ha lasciato il servizio sanitario perché stremato e sottopagato. Il guadagno è anche di 1.500 euro per 12 ore. Una norma approvata nel Decreto energia del 28 marzo 2023 stabilisce lo stop ai contratti con le cooperative («Esternalizzazioni possibili una sola volta, per un massimo di 12 mesi e senza proroga» qui). Al momento, però, solo la Lombardia lo scorso dicembre si muove in tale direzione (qui). È fondamentale che non resti l’unica in Italia.
Poi ci sono i medici stranieri, che passano dai 15.800 pre-pandemia ai 24.500 di oggi: il 40% lavora negli ospedali pubblici (fonte Amsi), ma non possono ancora essere assunti a tempo indeterminato per vecchie interpretazioni legislative che permettono la partecipazione ai concorsi pubblici solo a chi ha la cittadinanza italiana. Le norme in vigore prevedono il loro ingaggio fino al 2025 (Milleproroghe del 27 febbraio 2023). Infine ci sono gli specializzandi. Con la Finanziaria del 2018 viene data la possibilità di partecipare ai concorsi (seppur con graduatoria separata) agli iscritti all’ultimo anno della Scuola di specializzazione; nel 2019 la possibilità viene estesa anche al penultimo anno (qui comma 547), che poi nel 2020 diventa il terzo anno (qui); e la legge 3 luglio 2023, n. 87 lo porta al secondo. L’assunzione a tempo determinato viene riconvertita a tempo indeterminato solo con l’acquisizione del titolo di specializzazione.
Insomma, tutte le contromisure adottate fin qui per fare fronte alla carenza di medici hanno già espresso il massimo del loro potenziale. Quello che manca sono le soluzioni di politica sanitaria a lungo termine e che non mettano a rischio la qualità delle cure. Soluzioni che, è il caso di ribadire, non devono essere quelle di aumentare indiscriminatamente il numero di medici, ma trovare incentivi mirati per farli lavorare dove serve. E dove non serve bisogna avere il coraggio di riconvertire i piccoli ospedali in altri tipi di presidi sanitari.