Nelle pieghe dei conti pubblici spunta un nuovo debito dello stato nei confronti degli enti locali: sono 3,1 miliardi di euro.
Per capire le proporzioni, il doppio abbondante rispetto ai tagli ai trasferimenti disposti con la manovra dell’estate scorsa, che ha spinto sulle barricate tutti i sindaci e occupa ora la trattativa sul federalismo fiscale.
A scoprire e quantificare il problema è la corte dei conti, in una delibera (la 26/2010) firmata direttamente dal neo-presidente della magistratura contabile, Luigi Giampaolino (i relatori sono Aldo Carosi e Fabio Viola). I 3,1 miliardi (ma potrebbero salire a 3,3 alla fine dell’analisi di una serie di poste ancora incerte) nascono da trasferimenti dovuti ma mai erogati dallo stato nei confronti di 223 fra comuni e province fra 1997 e 2002: l’obbligo giuridico rimane, perché l’assegno è previsto dalla legge, ma la copertura nel bilancio statale è quasi inesistente: con le risorse messe a disposizione oggi, calcola la corte, la partita non potrebbe essere chiusa prima del 2022.
A gonfiare il debito nei confronti di comuni e province sono state le regole che hanno disciplinato i trasferimenti statali fino al 2002: per gli enti «monitorati» (si tratta delle province sopra i 400mila abitanti e dei comuni sopra i 60mila), il ministero dell’Interno metteva a disposizione le somme previste dalle leggi (prima di tutto il fondo ordinario) nella tesoreria, ma l’erogazione effettiva scattava solo quando le disponibilità di cassa del comune o della provincia interessata fossero scese sotto un determinato livello.
Negli enti in cui le casse hanno retto meglio, o dove i trasferimenti previsti dalle norme erano tali da far superare i livelli minimi indispensabili all’erogazione, questi soldi non sono arrivati.
I ritardi hanno fatto scattare il meccanismo della «perenzione», che riporta le somme nella disponibilità dell’Economia; il debito è rimasto, ma queste risorse sono state dirottate ad altri scopi determinando la scopertura attuale.
Il problema, in realtà, non è nuovo, al punto che nei mesi scorsi, sottotraccia, ai tavoli tecnici del Viminale si è fatto il possibile per metterci mano. La novità sono i numeri: il Viminale, si legge nella relazione, non ha potuto fare altro che arrivare alle «impietose quantificazioni» riportate nelle tabelle; il compito di trovare le coperture è dell’Economia, che però sulla vicenda ha «serbato il silenzio». Il rischio, spiega la Corte, è «il consolidarsi del fenomeno debitorio nel tempo, che insieme ad altri possibili eventi della stessa natura, incrementerebbe a dismisura il debito reale dello Stato».
A finire incagliati nel meccanismo della «perenzione» sono stati i crediti di 223 fra comuni medio-grandi e province. In valore assoluto, l’assegno più significativo è quello atteso dalla provincia di Napoli che, anche a causa dell’entità dei trasferimenti spettanti a quel territorio, vola a 437,6 milioni di euro. Tra i comuni primeggia invece Milano, che vanta un credito da 166,1 milioni, cioè 127 euro per abitante. Se anche questi crediti venissero onorati, poi, si aprirebbe un problema ulteriore, perché gran parte delle risorse rimarrebbero incagliate nei meccanismi del patto di stabilità; ma questa è un’altra storia.
Ilsole24ore.com
31 dicembre 2010