di Rita Querzé. Scuole materne vuote. E nidi con la fila davanti alla porta. Sarà sempre più questa la situazione paradossale dell’accoglienza nella scuola per i piccoli da zero a sei anni. E qualcuno comincia a pensare: perché non integrare materne e nidi, spostando risorse e personale dalle prime ai secondi?
Un rapporto pubblicato dall’Istituto degli Innocenti di Firenze fa il punto della situazione. Bene: complice il decremento delle nascite — mai così poche dal dopoguerra a oggi — a breve le scuole materne avranno circa 125 mila posti più del necessario. Per la precisione, la scuola dell’infanzia accoglie oggi 1.599.777 bambini mentre la «leva delle nascite» degli ultimi tre anni ha potuto contare su 1.473.000 bambini. Tutto questo avviene mentre i nidi accolgono poco meno di 315 mila piccoli l’anno.
La fotografia della situazione, pur nella sua complessità, fa dire ad Aldo Fortunati dell’Istituto degli Innocenti: «Visto che l’onda lunga della denatalità produrrà questo effetto per i prossimi 5-10 anni, cerchiamo almeno di sfruttare la situazione per usare le risorse che resterebbero inutilizzate nelle scuole per l’infanzia per creare nuovi posti al nido. In modo da potenziare un’offerta cronicamente inadeguata».
Minori investimenti dal 2011
A oggi va al nido il 20,8% dei bambini. Ma anche questa è una media del pollo che non rende giustizia alle diverse realtà del Paese. Al Centro-Nord, infatti, la percentuale sale al 25% mentre nel Mezzogiorno si ferma al 10%. L’obiettivo, da anni sollecitato anche a livello europeo, sarebbe arrivare almeno al 33%. Dall’ultimo investimento rilevante sui nidi sono passati dieci anni: parliamo del Piano Nidi del 2007, con Romano Prodi presidente del Consiglio e Rosi Bindi ministro della Famiglia. Dal 2011 la spesa pro capite dedicata a famiglia e minori ha cominciato a scendere: dai 117 euro a testa del 2011 ai 113 del 2012.
Il piano triennale
Oggi le novità sono due. Con il decreto legislativo 65 dell’aprile di quest’anno in attuazione della delega di riforma del sistema di istruzione scolastica (la cosiddetta «Buona scuola») è stato creato un sistema educativo integrato per i bambini dagli zero ai sei anni. Con un finanziamento di 600 milioni di euro in tre anni (2017-2018-2019). Pochi — si dirà — rispetto alle necessità. Ma quantomeno sono fondi strutturali. Per il 2017 ci sono, per la precisione, 209 milioni di euro che saranno ripartiti tra le regioni con un decreto del Miur atteso a settembre. Nel 2018 si salirà a 224 milioni, a 239 nel 2019. Un ruolo importante avrà la conferenza Stato-Regioni.
Già nella riunione di fine luglio si deciderà sulla ripartizione a livello territoriale di altri 150 milioni messi a disposizione dall’Inail per creare infrastrutture integrate per l’accoglienza dei piccoli fino a sei anni. Si tratterà dei primi «poli dell’infanzia» destinati a bambini tra 0 e 6 anni e saranno fino a un massimo di tre per regione.
Da notare: anche con le nuove norme il nido resta un servizio «a domanda individuale». Tradotto: non è garantito a costo minimo come la materna. Di fatto il Mef, il ministero dell’Economia e delle Finanze, si è opposto all’idea di un servizio nidi diffuso e a costo «politico» come la materna: l’onere sulla finanza pubblica è stato considerato eccessivo.
Quantomeno è stato messo nero su bianco che questo è l’obiettivo a cui tendere, trasformando il nido da servizio assistenziale a servizio educativo a tutti gli effetti.
La partita del personale
Ora la nuova partita dell’integrazione tra i due cicli 0-3 e 0-6 è sicuramente rivoluzionaria, ma gravida di incertezze. Anche perché il Miur, ministero dell’Università e della Ricerca, non si è mai occupato dei bambini da 0 a 3 anni. «Le sezioni primavera della scuola dell’infanzia sono state in questi anni un esperimento interessante», fa notare Fortunati.
Soprattutto al Sud, molte famiglie hanno approfittato della possibilità di iscrivere i bambini alla materna in anticipo per due motivi: i nidi nel Mezzogiorno spesso non ci sono e quando ci sono costano almeno tre volte la retta della materna. L’aspetto economico per le famiglie è estremamente rilevante. In media il posto al nido vale 400 euro al mese, ma in molte città si arriva facilmente anche a 600-700. «Nelle nostre indagini periodiche a campione registriamo come spesso le famiglie rinuncino al posto al nido conquistato a fatica perché la retta è insostenibile per loro finanze — spiega Fortunati —. Anche se il fenomeno è leggermente ridimensionato rispetto al picco della crisi».
Laurea obbligatoria
«L’uscita dei nidi dai servizi a domanda individuale è sicuramente un obiettivo importante. A questo punto andrebbe realizzato progressivamente — auspica Fortunati —. Le risorse non più utilizzate dalla scuola dell’infanzia potrebbero essere riorientate sui nidi proprio per abbattere i costi per le famiglie oltre che per aumentare il numero dei posti».
Certo, dirlo è facile ma farlo è un’altra cosa. Anche perché non si tratta solo di spostare risorse da una partita all’altra ma anche di riorganizzare un servizio spostando personale dalle materne ai nidi. E qui si entra nella delicata partita della gestione del personale della scuola. Per ora una certezza è stata comunque fissata. Gli educatori dei servizi 0-6 anni dovranno d’ora in poi poter contare tutti su una laurea. E questo è già un punto di partenza comune .
Corriere della Sera – 10 luglio 2017