Ieri il ministro della Salute Orazio Schillaci si presenta prima al Senato e poi alla Camera con due atti già firmati: quello di mercoledì scorso con la stretta per i viaggiatori provenienti dalla Cina e ora anche la proroga delle misure sui dispositivi di protezione. Il messaggio è quello della prudenza anche se domina la consapevolezza che l’Italia da sola potrà ben poco contro il pericolo di un nuovo contagio che soffia dall’est del pianeta. Il ministro non potrebbe essere più chiaro quando dice che «l’attività di sorveglianza attraverso l’effettuazione di tamponi molecolari all’arrivo dei voli diretti provenienti dalla Cina non arresterebbe del tutto l’ingresso sul territorio nazionale a causa dell’arrivo in Italia di passeggeri anche attraverso voli indiretti – il cui tracciamento è pressoché impossibile». E invoca un’azione congiunta con la Ue «per prendere una decisione comune che possa servire o limitare l’afflusso di persone positive dal Paese asiatico».
A stretto giro arriva la prima doccia gelata: l’Ecdc, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, boccia perché «ingiustificata» l’introduzione nella Ue di screening obbligatori per i viaggiatori in arrivo dalla Cina. L’agenzia ha ricordato che i Paesi Ue hanno «livelli relativamente alti di immunizzazione e vaccinazione» e «le varianti che circolano in Cina stanno già circolando nell’Ue». Ma non è la sola reazione della giornata: il portavoce del ministro degli esteri cinese Wang Wenbin, ha infatti sottolineato, che serve «trattare i cittadini di tutti i paesi in modo equo». Una posizione analoga a quella sostenuta ieri dall’Oms Europa che da un lato invita a «non discriminare alcuna particolare popolazione o gruppo» e dall’altra denuncia l’esaurimento delle scorte di farmaci essenziali anche per contrastare il Covid.
Dall’Europa per ora tutto tace, a eccezione di un’indicazione di metodo che arriva dal portavoce di Bruxelles al termine della riunione del Comitato per la sicurezza sanitaria: l’orientamento è quello che la Ue «agisca unita e coordinata per quanto riguarda eventuali misure di salute pubblica». In quale direzione però ancora non si sa.
Quel che è certo – sul fronte italiano – è che non si andrà, per il momento, verso un giro di vite delle misure anti-contagio. Un’ipotesi ribadita senza possibilità di equivoci dalla premier in persona alla conferenza stampa di fine anno: «Per come la vedo io – ha detto Meloni – credo che la soluzione siano sempre i controlli, continuano ad essere utili tamponi e mascherine, la privazione della libertà che abbiamo conosciuto in passato non credo sia efficace, lo dimostra quanto accaduto in Cina». Una posizione che comunque andrà testata nei prossimi giorni in seno alle forze di maggioranza.
E dunque invita alla prudenza il ministro Schillaci. E se da un lato attacca la politica sanitaria cinese colpevole di aver impartito «una lezione per l’intero pianeta su come non vada mai gestita un’epidemia», dall’altro, sul fronte interno, apre uno spiraglio. Le notizie che arrivano dai laboratori italiani «evidenziano in Cina la circolazione di varianti e sottolignaggi già presenti nel nostro territorio e questa è la notizia più rassicurante», dice ai senatori. La conferma arriva qualche ora dopo dai risultati dei primi test negli scali: a Fiumicino, spiega l’assessore alla Sanità regionale Alessio D’Amato, sono stati riscontrati 5 positivi su 49 sul primo volo e altri 14 su 100 nel secondo ma a quanto sembra non è stata individuata alcuna nuova variante. Oggi è convocata l’Unità di crisi al ministero della Salute. La macchina è entrata in funzione, il Covid non è finito.