La faglia corre piano, per ora. Ma presto spaccherà il terreno politico su cui cresce la manovra d’autunno. Il partito del sostegno alla domanda, da una parte. Con un occhio al referendum e dunque a pensionati e statali da coccolare. E quello dell’offerta, dall’altro. Allarmato dalla crescita zero e guidato dal blocco di Confindustria, come dimostra l’uscita del suo presidente Boccia di ieri. E forte di un’autorevole sponda governativa nel ministro dello Sviluppo economico Calenda. Bonus contro investimenti, 80 euro contro superammortamento, rinnovo del contratto pubblico contro Ires, pensioni contro investimenti. Un tira e molla da 25 miliardi.
È chiaro che la sintesi, alla fine, la farà Renzi. E probabilmente sarà salomonica. Ma la cacofonia nella compagine governativa cresce a vista d’occhio. Lo stesso premier, ieri alla Versiliana, ha difeso a spada tratta la filosofia degli 80 euro: «Non sono una mancia elettorale, ma un atto di giustizia ». Sebbene l’idea di estenderli a pensionati al minimo e statali (come entità del rinnovo contrattuale) incontri non solo il muro dei conti, ma anche quello concettuale di una parte del governo. Calenda non nasconde che la politica dei bonus mostri ormai la corda: il cavallo non bene, i consumi non ripartono, il Pil è piantato. Ecco allora il suo piano: Industria 4.0, concentrare tutti gli sforzi sulle aziende e la loro capacità di investire e innovare. Esulta Boccia, il presidente di Confindustria, che ama ricordare l’impegno di Padoan, il ministro dell’Economia, a mettere in campo «poche misure, tutte per crescita e produttività». Piace anche Delrio, il ministro delle Infrastrutture, e la sua cura del ferro e del mattone, i 40 miliardi del Cipe sbloccati per strade e ferrovie e l’idea di incentivare la ristrutturazione dei condomini.
L’offerta dunque, non la domanda. Che pure langue. Con i sindacati in attesa di raccogliere i frutti dei lunghi tavoli su lavoro e pensioni. E dello sciorinare confuso di cifre e ipotesi: Ape, ricongiunzioni gratuite, aiuti a lavoratori usuranti e precoci, 80 euro alle pensioni minime, ampliamento di quattordicesima e no tax area. Un menù che vale almeno 4 miliardi. Grasso che cola se arriverà un miliardo e mezzo (per ora sono sicuri solo i 600-700 milioni dell’Ape, il prestito pensionistico). A cui sommare il miliardo per gli statali, semmai ci sarà (dai 300 milioni stanziati). Insomma 2,5 miliardi sulla domanda, ma almeno il doppio per rinfrancare l’offerta, a occhio e croce.
Cifre ufficiali non ne circolano. Ma è chiaro che Industria 4.0 e annessi – dunque superammortamento, ecobonus, decontribuzione, premio produttività, crediti di imposta, Ace – in aggiunta a taglio Ires (3 miliardi già stanziati) e fondi Cipe sbloccati costituiscono il cuore vero della prossima manovra. Toccherà solo mettere d’accordo ministri e viceministri. Come Zanetti che dice: «Pensioni ultima priorità, prima il taglio alle tasse e gli statali», suscitando alti lai sindacali. Mentre Morando punta tutto sugli sgravi per la produttività, da raddoppiare, sui condomini (anche lui) da ristrutturare. Lasciando al 2018 il taglio Irpef.
Ognuno ha un piano, dunque. Nessuno le coperture. Tra sconti europei, spending review, voluntary disclosure (il rientro dei capitali): tutto sospeso. E la faglia si allarga.
Repubblica – 22 agosto 2016