Maria Carla De Cesari. Il piano del Governo per il sistema previdenziale sembra dettato solo dalla logica di far quadrare conti difficili e di togliere le castagne dal fuoco nel brevissimo periodo. Dalla manovra sembra profilarsi l’innalzamento della tassazione al 26% per gli investimenti delle Casse di previdenza, così come previsto – la scorsa primavera – con la riforma delle rendite finanziarie. Se la misura dovesse essere confermata dalle carte, le Casse vedrebbero deluse le aspettative di un confronto con il Governo per trovare soluzioni rispetto alla stabilità di lungo periodo e all’adeguatezza delle pensioni per gli iscritti. Il contesto è negativo: i redditi dei professionisti sono da anni in calo e le dinamiche demografiche – ingressi eccessivi in alcune professioni, mancanza di nuove leve in altre – non lasciano presagire nulla di buono.
L’innalzamento dell’aliquota di tassazione per i Fondi pensione sembra suggerire la disattenzione del Governo rispetto ai destini del secondo pilastro pensionistico che, peraltro, in Italia è già molto limitato. Il rincaro va ad aggiungersi alla possibilità di chiedere il Tfr in busta paga.
L’argomentazione di quanti sostengono che lo Stato deve smettere di fare da balia ai suoi cittadini usciti dalla minore età è certo suggestiva, a patto di trarne conseguenze chiare. Occorre, cioè, tenere presente che le pensioni obbligatorie, per chi è sottoposto per intero o per gran parte della vita lavorativa al calcolo contributivo delle prestazioni, saranno molto ridotte rispetto all’ultima retribuzione.
I fattori sono molteplici: in linea generale gli assegni sono commisurati ai contributi versati e sono parametrati all’aspettativa di vita. Se la busta paga è magra per lunghi anni, se si perde il lavoro e si vivono intervalli di inattività, i calcoli daranno un risultato ancora più severo. Se poi il Paese non torna a crescere anche chi trova lavoro presto, ha carriere “tranquille”, non perde il posto, troverà la propria dote contributiva impoverita, poiché la rivalutazione in base al Pil sarà vicina allo zero o, addirittura, negativa.
Anche senza preventivare situazioni negative, il contributivo funziona se accanto si costruisce una “cassetta di sicurezza” che possa integrare la pensione obbligatoria. Continuare a evitare la questione previdenza – con quella obbligatoria destinata a essere in gran parte dei casi inadeguata, a fronte comunque di un forte esborso contributivo per le aziende e i lavoratori – significa condannare alla povertà larghe fasce di lavoratori. A meno di futuri interventi dello Stato, con una ipoteca a lungo termine per il debito pubblico
Fisco pesante su fondi e fondazioni. Da previdenza complementare e settore bancario maggiori entrate per 800 milioni
Le reazioni. Camporese (Adepp): il Fisco taglierà le pensioni erogate. Per Tronconi (Assofondipensione): il sistema verso l’eutanasia
Stretta della legge di Stabilità sulla previdenza privata e complementare. Secondo indiscrezioni per le Casse di previdenza delle professioni la tassazione delle rendite finanziarie, ora al 20% salirà al 26% come per qualsiasi investitore privato. Per i fondi di previdenza complementare il conto del Fisco salirà dall’11,50 al 20 per cento.
La norma, discussa ieri in Consiglio dei ministri, prevede entrate dalle rendite finanziarie pari a 3,6 miliardi, di cui 2,6 dall’aumento deciso a inizio anno della tassazione delle rendite finanziarie passata dal 20 al 26 per cento. Un miliardo e 200 milioni arriveranno dall’aumento della pressione fiscale sulle fondazioni bancarie, sui fondi di previdenza complementare. Le polizze vita, che ora sono esenti Irpef per gli eredi, dovrebbero essere sottoposte a una tassazione al 26 per cento nella componente finanziaria. In più, la manovra sembra severa con le Casse, che dovrebbero arrivare a una tassazione del 26%, come stabilito in un primo tempo con la riforma delle rendite finanziarie della scorsa primavera.
Andrea Camporese, presidente dell’Adepp, l’associazione degli enti di previdenza dei professionisti, è sconcertato: «Se si verificasse un ritorno della tassazione al 26% per il mondo delle Casse e una crescita rilevante di tassazione per i fondi pensione si tratterebbe di un atto gravissimo di miopia istituzionale di cui il Governo dovrebbe rispondere davanti a 2 milioni di professionisti, alle loro famiglie, e a centinaia di migliaia di dipendenti degli studi professionali».
«Mi auguro – prosegue Camporese – che si tratti di una notizia priva di fondamento, vorremmo evitare il ridicolo di creare una distanza incolmabile tra noi e il resto dei professionisti europei». In Europa, infatti, la tassazione sulla previdenza è molto bassa. «Non sarei in grado di capire – prosegue Camporese – la logica di una manovra che condanna un pezzo del Paese, che genera il 15% di Pil alla devastazione del suo sistema previdenziale».
Se la manovra dovesse essere confermata comporterà, secondo i calcoli di Camporese «un taglio delle pensioni future del 10% che andrebbe ad aggiungersi alla riduzione generalizzata dovuta ai sistemi di calcolo più severi adottati dalle Casse».
«Se passa l’aumento della tassazione al 20% – commenta Michele Tronconi, presidente di Assofondipensione – si rafforza un segnale di sfiducia verso il secondo pilastro. Il doppio handicap, cioè la possibilità del Tfr in busta paga e l’alto livello del Fisco, spingono il sistema all’eutanasia. Si tratta di un neo in una manovra orientata alla crescita, ma si disconosce che il risparmio previdenziale possa essere reinvestito nel Paese».
Sul tavolo c’è anche il fondo a cui sta lavorando il Governo per sollecitare il sistema-previdenza a investire in infrastrutture nel paese. Per i fondi e le Casse servono infatti investimenti di medio e lungo periodo, che abbiano un margine di rischio basso e garantiscano una rendita almeno intorno al 3%; le infrastrutture sono una leva importante per l’economia e hanno tempi lunghi per diventare remunerative. Alla luce delle scelte sulla tassazione, però, l’intero progetto potrebbe essere rimesso in discussione. Fondi e Casse, infatti, avevano ricevuto garanzie su un fisco “clemente”. La disponibilità da parte delle Casse a investire nel fondo c’è, come aveva ribadito Renzo Guffanti, presidente di Cassa dottori commercialisti, sentito ieri dalla Commissione di vigilanza sugli enti, «sempre se saranno rispettati gli impegni assunti in merito all’autonomia, alla fiscalità e alla governance». Impegni che, a questo punto, sarebbero stati disattesi.
Si progettava un fondo chiuso con gli enti di previdenza di primo e secondo pilastro in maggioranza, così da avere un potere di verifica sulle scelte di investimento. Altro fattore importante: la volontarietà. Ma ora tutto torna in discussione.
Il Sole 24 Ore – 16 ottobre 2014