Lorenzo Salvia. Per circa 400 mila dipendenti pubblici viene «salvato» il bonus da 80 euro, l’aumento in busta paga riservato ai redditi bassi varato due anni fa dal governo Renzi. Per raggiungere l’obiettivo la soglia massima di reddito che dà diritto al beneficio viene alzata da 26 mila a 26.600 euro lordi l’anno. È la novità più importante del disegno di legge di Bilancio che ieri, a quasi due settimane dal via libera in Consiglio dei ministri, è arrivato al Senato dopo varie revisioni e la firma del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Perché alcuni dipendenti pubblici rischiavano di perdere il bonus da 80 euro? Con il rinnovo del contratto promesso dal governo, 85 euro al mese anche se la trattiva è ancora in corso, 400 mila statali avrebbero superato la soglia dei 26 mila euro lordi l’anno al di sopra della quale gli 80 euro non si prendono più. Sarebbe stato un gioco a somma zero: 85 euro in più da una parte, 80 euro in meno dall’altra. Una beffa, per loro. E non proprio il migliore degli spot elettorali possibili per il governo, a pochi mesi dal voto. Di qui la decisione di alzare la soglia massima di reddito.
La scelta, però, non riguarda solo i dipendenti pubblici ma anche quelli del settore privato. Limitarlo solo agli statali, ipotesi pure presa in considerazione in un primo momento, sarebbe stato infatti incostituzionale. I dipendenti privati coinvolti dall’innalzamento della soglia, e che quindi potrebbero prendere il bonus che prima non prendevano, sono ancora di più. Circa 700 mila. Ma in ogni caso non bisogna attendersi grandi cifre. Il bonus è da 80 euro lordi al mese per chi guadagna fino a 24 mila euro lordi l’anno. Nella fascia di reddito tra i 24 e i 26 mila scende rapidamente fino ad azzerarsi. Con la manovra vengono spostate verso l’alto e in parallelo tutte e due le soglie: quella di 24 mila passa a 24.600, quella di 26 mila a 26.600.
Il costo dell’operazione è di poco più di 200 milioni di euro l’anno. Nei giorni scorsi si era ipotizzato di trovare questi soldi introducendo la cosiddetta tassa sulla Coca Cola, un’imposta sulle bibite gassate e zuccherate che esiste in altri Paesi ed è pure sponsorizzata dall’Organizzazione mondiale della Sanità. Ma il governo si era impegnato a non alzare le tasse e alla fine i fondi necessari arriveranno da una limatura alla spesa dei ministeri.
Nella manovra arrivata al Senato, dove da domani comincerà la discussione del testo, c’è un’altra novità. Riguarda la cedolare secca, la tassazione agevolata al 10% sul reddito delle case date in affitto a canone concordato. La misura scadeva alla fine di quest’anno. Doveva diventare stabile, cioè valida per sempre. Alla fine è stata confermata ma solo per altri due anni. La nuova scadenza è la fine del 2019.
Il Corriere della Sera – 30 ottobre 2017