Tagli di spesa per 728,4 milioni. Sono quelli che dovranno sostenere nel 2017 i ministeri e la Presidenza del consiglio per contribuire alla “fase 3” della spending review prevista dal disegno di legge di Bilancio varato dal Governo e ora all’esame della commissione Bilancio della Camera. Come già accaduto lo scorso anno, ciascun dicastero deciderà autonomamente come centrare l’obiettivo di risparmio fissato dalla manovra. E avrà anche la possibilità di rimodulare nel tempo la riduzione di spesa a suo carico rispettando comunque i target assegnati.
Ai fini dell’indebitamento della Pa, la dote maggiore dovrà essere assicurata dal ministero dell’Economia dal quale sono attesi quasi 500 milioni (per la precisione 488,6 milioni). Nella graduatoria dei tagli, al secondo posto, ma nettamente distanziato dal Mef, c’è il ministero della Difesa, che dovrà recuperare tra le pieghe del suo budget 74,9 milioni. La terza posizione spetta al ministero degli Affari esteri che dovrà realizzare un risparmio di 35,5 milioni, quasi la metà dei quali sarà comunque assicurata dalla dismissione di alcuni sedi e uffici all’estero. Il contributo meno oneroso è quello chiesto ai ministeri del Lavoro e dell’Ambiente: in entrambi i casi il target è di 4 milioni. La Presidenza del Consiglio dovrà invece rinunciare a 8 milioni.
Complessivamente i tagli si attesteranno a quasi 729 milioni nel 2017, a circa 709 milioni nel 2018 e a poco più di 713,2 milioni nel 2019. E, come si sottolinea nella relazione tecnica del Ddl di Bilancio, «a decorrere dal 2020 l’entità dei risparmi previsti per il 2019», al netto di quelli che derivano dalle maggiori entrate per la dismissione delle sedi all’Estero del ministero degli Affari esteri (16 milioni), «è da considerarsi permanente». La potatura riguarda prevalentemente le uscite correnti (circa l’82% nel 2017 e il 92% negli anni successivi).
La stretta sui ministeri si va ad aggiungere al rafforzamento del meccanismo di centralizzazione degli acquisti Pa sulla base del modello Consip. Su questo versante la manovra prevede, in linea con quanto indicato nel Def di aprile, l’attribuzione al ministero dell’Economia della funzione di “acquirente unico” per alcuni servizi essenziali della Pa e non solo di centrale unica (attraverso Consip) per gli approvvigionamenti dei dicasteri. Si partirà con una sperimentazione che interesserà i servizi di energia elettrica e dei buoni pasto per il personale con il coinvolgimento di due ministeri (Mef e Interno). La tempistica sarà decisa con un decreto del Mef. Sarà invece il presidente del Consiglio a decidere (con un Dpcm) l’eventuale estensione del bacino dei ministeri e dell’elenco delle categorie merceologiche da collegare alla nuova procedura imperniata sul Mef con il ruolo di “acquirente unico”.
Il capitolo dei tagli sarà sicuramente uno dei temi su cui si concentreranno alcune delle proposte di modifica dei gruppo parlamentari. L’iter del Ddl di Bilancio comincerà formalmente a Montecitorio domani con la riunione dei presidenti delle commissioni Bilancio e Finanze per il parere alla presidente della Camera per la verifica del ”contenuto proprio” del provvedimento. Da venerdì 4 novembre a lunedì 7 si svolgeranno le audizioni in Commissione. Subito dopo comincerà la partita sugli emendamenti. Che non sarà troppo lunga. Secondo il calendario fissato dalla Conferenza dei capigruppo di Montecitorio, il Ddl dovrà arrivare in Aula tra il 23 e il 24 novembre. I tempi sono stretti, anche perché il testo è arrivato alla Camera il 29 ottobre, con quasi dieci giorni di ritardo rispetto alla scadenza del 20 ottobre fissata dalla riforma del bilancio dello Stato.
Marco Rogari – IL Sole 24 Ore – 1 novembre 2016