Marco Bresolin. All’interno della Commissione non ha certo la fama di essere un «falco», tutt’altro. Ma da Pierre Moscovici, commissario agli Affari Economici, arriva una doccia gelata su Roma. Un avvertimento a tutti quei governi – Italia in testa – che un giorno sì e l’altro pure criticano le norme europee che regolano la finanza pubblica e ne chiedono una revisione. «Durante le ultime riunioni dell’Ecofin e dell’Eurogruppo – conferma il commissario francese – si è parlato di come possiamo migliorare il Patto di Stabilità, senza però metterlo in discussione».
Ma la Commissione è aperta a una revisione delle regole, come chiedono alcuni Paesi? Renzi ha addirittura ipotizzato un’uscita dell’Italia dal Fiscal Compact, che a suo dire non ha funzionato…
«Pubblicheremo un rapporto sull’attuazione nella legislazione nazionale del Fiscal Compact, di cui molti provvedimenti sono già ripresi nelle regole del Patto di Stabilità. Queste regole non dobbiamo cambiarle, assolutamente. Dobbiamo mantenerle. La questione non si pone, anche perché se andiamo a vedere alcuni parametri, come quello del 3%, erano già inclusi nel Trattato di Maastricht. Il Patto di Stabilità funziona: nel 2010 il deficit dell’area euro era al 6%, oggi siamo al 2%. Si è dimostrato molto utile. Perché risponde ai problemi di un’area in cui il livello del debito pubblico è alto. Va ridotto, perché ogni euro speso per il debito è un euro in meno per i servizi ai cittadini».
Però anche lei ha parlato di modifiche necessarie.
«È giusto puntare a un miglior funzionamento del Patto, renderlo più comprensibile e più facile da applicare. Ma stiamo parlando di piccoli miglioramenti, all’interno di una cornice. Non di un cambiamento. Questo non esiste proprio. Vorrei essere molto chiaro sul punto perché non vorrei far montare le aspettative».
Per l’Italia dunque i margini sono stretti?
«Siamo pronti a esaminare i singoli casi, a iniziare le discussioni con i nostri interlocutori. Ma non a cambiare le regole. Non commento le singole situazioni, ma siamo pronti ad applicare tutta la flessibilità prevista dal patto. Senza però fare eccezioni: dobbiamo restare entro i limiti imposti dalle regole».
Il terremoto non rientra nelle eccezioni? Renzi vuole presentare un grande piano anti-sismico e tenere quelle spese fuori dai vincoli del Patto.
«Ripeto: non parlo del bilancio italiano qui. Abbiamo un dialogo con il governo italiano, ho incontrato il ministro Padoan e stiamo cercando di trovare soluzioni insieme, come cerchiamo sempre di fare. Crediamo che l’Italia sia un attore importante sulla scena europea e vogliamo davvero che sia al centro dell’Europa. Abbiamo un buon rapporto e andiamo avanti in questa direzione, ma nella cornice delle regole esistenti. Esamineremo i numeri e le misure che il governo ci presenterà, ma vi assicuro che la questione principale, con l’Italia, non riguarderà il terremoto. Di questo ne sono certo».
La vostra Commissione è spesso accusata di essere oggetto di pressioni da parte della Germania: dicono che Schaeuble vi abbia convinti a non multare Spagna e Portogallo…
«Falsità. La Commissione prende decisioni autonome, non perché Schaeuble o qualcun altro ci dice cosa fare. E infatti questa autonomia ci espone ad attacchi da due fronti: chi ci accusa di voler difendere le regole a tutti i costi e dall’altro lato chi ci accusa di essere troppo morbidi con chi non rispetta le regole».
A proposito di regole, se la Francia non riuscisse a mantenere il deficit entro il 3%, la Commissione chiuderà un occhio?
«Assolutamente no. Non possiamo accettare ulteriori ritardi. Il parametro del 3% dovrà essere rispettato anche se si tratta della Francia, che è il mio Paese».
Con le elezioni alle porte in molti Paesi e l’avanzata dei partiti populisti, non c’è il rischio che alcuni leader politici cambino il loro atteggiamento verso l’Europa per frenare il calo dei consensi?
«Ho molta paura e non sono soddisfatto del dibattito politico, nel quale molti importanti politici chiedono meno Europa. Se si vogliono combattere le posizioni anti-Europa, bisogna avere il coraggio di mantenere le proprie posizioni pro-Europa. C’è sempre la tentazione di dire: “I movimenti populisti danno la risposta sbagliata a una giusta domanda”. No: oltre alla risposta, anche la diagnosi è sbagliata».
La Commissione sta portando avanti una dura battaglia contro l’elusione fiscale. Oltre al caso Apple, avete rilanciato l’introduzione della base imponibile unica per le imprese (Ccctb), che cinque anni fa fu bloccata. È la volta buona?
«Non mi aspetto una discussione facile su questo punto. Ma abbiamo un vantaggio, gli umori nell’opinione pubblica. La gente che paga le imposte non riesce a digerire il fatto che le multinazionali possano evaderle».
Come si può parlare di parità di trattamento tra imprese se i regimi fiscali tra i Paesi restano molto diversi? Serve un’armonizzazione?
«Voglio essere chiaro: il nostro progetto non prevede la modifica delle aliquote minime, assolutamente. Non è una questione di livello minimo, vogliamo solo che il tasso di imposizione fiscale sia effettivo».
La Stampa – 21 settembre 2016