Partirà solo domani la lettera del Governo con le risposte alle osservazioni critiche di Bruxelles sulla manovra 2015. Mentre martedì la presidente della Camera, Laura Boldrini, aprirà formalmente la sessione di bilancio con l’esame di ammissibilità su tutti i contenuti del ddl di Stabilità.
Il testo della missiva, che sarebbe già stata messa a punto all’Economia, non dovrebbe contenere cifre né indicazioni operative sulla «correzione aggiuntiva» che verrà attivata per assicurare la nuova traiettoria di riduzione del deficit strutturale (attorno allo 0,3% del Pil, ovvero 4,8 miliardi). Si ribadiranno le ragioni di fondo che hanno portato al rinvio del pareggio di bilancio, le famose «circostanze eccezionali» determinate da un triennio di recessione con i rischi di deflazione, e si confermerà la portata espansiva attesa dalle riforme messe in campo: 0,1% nel 2015, 0,4% nel 2018. La «dote di riserva», già individuata per 3,3 miliardi nel testo della Stabilità e che potrebbe essere estesa per altri 1,5 miliardi (via maggiori entrate generate dalla riforma delle tax expenditures), verrebbe invece presentata formalmente entro i primi giorni di novembre con un emendamento governativo all’articolo 17 (comma 19), in tempo utile affinché il ministro dell’economia, Pier Carlo Padoan, possa presentarsi all’Ecofin del 9 novembre con la soluzione completata. Tutti questi passaggi saranno gestiti con una trattativa continua con Bruxelles, anche in vista del passaggio di testimone previsto a fine mese tra Josè Manuel Barroso e Jean-Claude Juncker e tenendo in conto che il 29 ottobre la Commissione uscente darà comunque il suo primo verdetto sulle leggi di bilancio di tutti i Paesi. Con l’emendamento presentato subito dopo quel passaggio il confronto dovrebbe considerarsi chiuso fino alla nuova valutazione a tutto campo della manovra che si farà la primavera prossima.
Intanto da martedì con l’ammissibilità e il possibile stralcio di alcune norme, la sessione di bilancio entrerà nel vivo. Il presidente della Commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia (Pd), già al lavoro per predisporre l’istruttoria sui 47 articoli presentati dal Governo a Montecitorio, punta a un approccio molto rigoroso per evitare, fin da subito, qualsiasi assalto alla diligenza. Tutte le norme «tipiche dei decreti omnibus verranno dirottate verso quel tipo di strumento».
Il presidente della commissione Bilancio è convinto che la manovra debba essere rafforzata: «La legge di stabilità per il 2015 è una sorta di casa di vetro ma con alcune ambiguità che vanno chiarite». Non solo. «Le buone intenzioni sono evidenti – dice Boccia – ma ci sono dei rischi evidenti che questo Paese non può permettersi come le clausole di salvaguardia che potrebbero far lievitare l’Iva fino al 25,5%». Per Boccia sono almeno tre i fronti su cui sarebbe possibile intervenire. Primo fra tutti il fronte delle Regioni: «Occorre disinnescare un qualsiasi aumento delle imposte locali o una riduzione dei servizi». Sul bonus degli 80 euro, poi, sarà necessario, sempre secondo Boccia, giungere quanto prima a una sua definizione come taglio di tasse e non come maggiore spesa, «soprattutto per rendere più incisivo il vantaggio fiscale sia per i dipendenti che lo ricevono sia per gli stessi datori di lavoro».
Sul fronte delle entrate, invece, per il presidente della Bilancio si potrebbero esplorare anche altre strade per recuperare maggiori risorse, come ad esempio, un possibile aumento della tassazione sulle multinazionali del Web: «Lo scorso anno il Governo Letta è riuscito a recuperare maggiori imposte per 137 milioni. Su un potenziale mercato di 25 miliardi, si potrebbe arrivare già quest’anno a recuperare almeno 500 milioni». Se poi il Governo dovesse chiedergli di imbarcare sul treno della stabilità anche la “voluntary disclosure”, Boccia lo valuterebbe ma a due condizioni: «non dovrà essere un condono e dovrà garantire entrate certe». Le stesse entrate attese dalla lotta all’evasione per Boccia sarebbero più credibili se ci fossero «strumenti nuovi e sanzioni penali più incisive e in grado, per chi non paga, di arrivare a un patto con il Fisco».
Il Sole 24 Ore – 26 ottobre 2014