Il governo scommette tutto sulla riduzione delle tasse e, come anticipato nel forum del Sole 24 Ore (pubblicato ieri) dallo stesso ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, l’obiettivo è quello di ridurre dal 44,2% al 42,4% la pressione fiscale. Un’inversione di quasi due punti percentuali che poggia anche su una crescita del Pil dell’1,6%, contro lo 0,9% previsto come risultato 2015.
A far correre questa scommessa devono quindi essere cittadini e imprese, ma non tutti parteciperanno allo stesso modo del mix di misure fiscali messe in campo dalla legge di stabilità che si avvia ora all’esame parlamentare.
Il testo nella tarda serata di ieri ha percorso la strada verso il Quirinale prima di approdare a Palazzo Madama, dove farà il proprio ingresso domani mattina o al massimo venerdì. Una dinamica di riduzione delle tasse come quella prospettata dal ministro rappresenterebbe una svolta a «U» nel rapporto sempre più difficile in questi anni fra fisco e produzione, e le chance di riuscita si basano, appunto, su una scommessa: la ripresa di fiducia e consumi prodotta dalle misure fiscali, con la conseguente accelerazione di un Pil come il nostro, storicamente ancorato alla sindrome dello zero virgola anche negli anni buoni.
Gli occhi dei vari ministeri che hanno composto l’architettura delle misure guardano prima di tutto alla famiglia, perché la manovra sulla casa primeggia sia in termini di valore (3,6 miliardi sulle abitazioni principali) sia in fatto di platea interessata: circa 17 milioni di immobili, a cui si aggiunge una grossa quota dei tre milioni di case in affitto che vedrà cadere la «quota inquilini» della Tasi se l’immobile è utilizzato come abitazione principale. Ma in fatto di immobili la manovra prolunga anche all’anno prossimo i bonus fiscali del 50% sulle ristrutturazioni, che salgono al 65% quando l’intervento produce risparmio energetico, e gli sconti sull’acquisto di mobili se ci sono lavori in casa. Completano il quadro l’abbassamento del canone Rai, buona notizia solo per chi lo paga, e la retromarcia in extremis sull’Imu dei cosiddetti “immobili di lusso”: esce, infatti, dalla manovra l’esenzione Imu per ville e castelli (si tratta di 73mila abitazioni accatastate nelle categorie A/1, A/8 e A/9, si veda il servizio a pagina 5), che di conseguenza continueranno anche il prossimo anno a versare i circa 90 milioni di euro di imposta ai Comuni.
Ma le misure sul mattone guardano anche all’impresa con la soluzione prospettata sul tema critico degli «imbullonati», cioè gli impianti produttivi che fino a oggi sono stati trattati dal Fisco come immobili e hanno gonfiato le rendite catastali dei capannoni che li ospitano. In fatto di impresa, però, sono due i pilastri su cui poggia la riduzione della pressione fiscale: i “superammortamenti”, cioè la possibilità di scontare il 140% di quanto investito in nuovi macchinari, e il taglio dell’Ires. Quest’ultimo, tuttavia, è ancora appeso alle decisioni europee sulla flessibilità ulteriore (3,1 miliardi, cioè lo 0,2% del Pil) che potrebbe essere concessa per “premiare” le spese sostenute dal nostro Paese nell’emergenza migranti: se l’Europa decidesse di accendere il semaforo verde, il taglio dell’Ires sulle imprese nel 2016 sarebbe di tre punti percentuali, per un valore che le ultime stime calcolano in 2,612 miliardi. Questa misura, però, non viene considerata negli esempi in pagina proprio per il suo carattere ipotetico. Un capitolo a sé nel più ampio ambito degli imprenditori è riservato all’agricoltura, ed è articolato in più mosse: l’addio all’Imu sui terreni di pianura posseduti da coltivatori diretti, Iap e società, che si aggiunge all’esenzione già presente in collina e, per tutti, in montagna, la cancellazione dell’Irap. Solo queste due voci per l’agricoltura valgono una riduzione di tasse per 570, cioè 404 milioni di Imu e 166 di Irap.
Tra le categorie “trascurate” dalla manovra ci sono invece i dipendenti pubblici, ma che beneficiano comunque degli sconti fiscali su immobili, ristrutturazioni, canone Rai e così via, ma ottengono solo una mini-dote per il riavvio del contratto, anche a causa della bassissima inflazione da recuperare nell’ultimo anno (la sentenza della Consulta ha di fatto salvato il vecchio congelamento). Va peggio ai dirigenti pubblici, per i quali il conto deve considerare anche le riduzioni previste ai premi di risultato (si veda Il Sole 24 Ore di ieri): gli effetti cambiano da ufficio a ufficio, mentre è molto meno variabile il malumore dei diretti interessati che proseguono lo stato di agitazione avviato alla fine della scorsa settimana.
Il Sole 24 Ore – 21 ottobre 2015