«Nella Manovra finanziaria restano pochi fondi per tutto il comparto sanitario, visto che circa 2.400 milioni sono destinati al rinnovo contrattuale del personale e quindi rimangono solamente 600 milioni per tutte le altre misure e obiettivi, come l’abbattimento delle liste di attesa oggi lunghissime, per il 2024, 1600 per il 2025 e 1800 per il 2026».
La fondazione Gimbe, che si occupa di salute e analizza parametri, fondi, obiettivi a livello nazionale, sottolinea le criticità della Manovra finanziaria. «Innanzitutto – dice il presidente Nino Cartabellotta – non si conosce l’esatta entità e la distribuzione delle risorse destinate al rinnovo del personale dipendente e convenzionato; in secondo luogo, se non diversamente precisato, l’incremento del tetto di spesa per le prestazioni da privato favorirà le Regioni che hanno registrato una spesa elevata nel 2011; ancora, l’impatto della rimodulazione dei tetti di spesa è sì “non oneroso” per lo Stato, ma non per le Regioni perché determinerà minori entrate dal payback; infine, il nuovo sistema di remunerazione delle farmacie e l’aggiornamento del LEA potrebbero avere un impatto sulla finanza pubblica superiore alle stime. Tutte incertezze che si ripercuoteranno sulla capacità di tenuta dei conti delle Regioni, sui quali aleggia sempre l’incertezza dei costi energetici e la crescita dei prezzi di acquisto di beni e servizi».
A seguito della diffusione della prima bozza della Manovra, si è acceso il dibattito: da un lato le proteste dell’opposizione, per i tagli finalizzati a privatizzare la sanità, dall’altro la maggioranza, che rivendica ingenti finanziamenti. Una lettura molto differente della situazione. La fondazione Gimbe ha analizzato il testo per dare la sua interpretazione.
Dal punto dei vista dei fondi totali, il fabbisogno sanitario nazionale (Fsn) viene aumentato di 3 miliardi per il 2024, 4 miliardi per il 2025 e 4,2 per il 2026, salendo così a 134 miliardi per il 2024, 135,4 per l’anno successivo e a 135,6 per quello ancora dopo. Ma «non si intravede per la sanità pubblica alcun progressivo rilancio del finanziamento pubblico», fa sapere Gimbe. «Gli incrementi – si legge in una nota – sono talmente esigui che non riusciranno nemmeno a compensare l’inflazione, nè l’aumento dei prezzi di beni e servizi». In pratica, la Manovra conferma «le stime Nadef 2023 sulla spesa sanitaria che prevedevano un crollo del rapporto spesa sanitaria/Pil dal 6,6% del 2023 al 6,1% del 2026».
Si spenderà molto per rinnovare i contratti del personale, ma non si specifica la cifra e si resta quindi presumibilmente a quanto detto dal ministro Schillaci il 17 ottobre in audizione al Senato: 2400 milioni, cioè l’80% dell’aumento del Fsn 2024. Ma tra l’altro con la riforma pensionistica che rischia di tagliare di molto le pensioni dei medici si rischia un fuggi fuggi dalla professione «che metterebbe in ginocchio il Ssn».
Per abbattere le liste d’attesa ci sono 500 milioni che saranno destinati a: aumentare il compenso orario del personale, aumentare il tetto di spesa di prestazioni da privati (circa 123 milioni per il 2024, 368 per il 2025 e 490 per il 2026 per Regione), viene aumentato il tetto della spesa farmaceutica per acquisti diretti e diminuito quello convenzionato, si cambia il modello di remunerazione delle farmacie per il rimborso dei farmaci erogati dal Ssn, si aggiornano i livelli essenziali di assistenza (ma «tali risorse potrebbero essere insufficienti» perchè dal 2024 ci sarà «l’esigibilità di numerose prestazioni, i cui prezzi sono aumentati nel corso dell’ultimo anno»), sarà potenziata l’assistenza territoriale per assumere personale sanitario, si potenzia l’attività dell’Istituto nazionale per la salute dei migranti, 10 milioni vanno alle cure palliative e terapia del dolore e altri 550 milioni (tra 2025 e 2026) a perseguire obiettivi sanitari di carattere prioritario e rilievo nazionale.
La Fondazione Gimbe sottolinea le difficoltà che avranno le Regioni per adeguare la spesa sanitaria alla crescita dei prezzi. «Con la necessità – dice Cartabellotta – di scelte gestionali difficili per allocare le esigue risorse tra i vari obiettivi e di dover ricorrere, ancora una volta, a strumenti per razionalizzare la spesa deleteri per la qualità dell’assistenza. Infine, per gli anni 2025 e 2026 la Manovra non prevede per la sanità alcun rilancio del finanziamento pubblico, ma torna a quelle cifre da “manutenzione ordinaria” messe sul piatto da tutti i Governi che, negli ultimi 15 anni, hanno contribuito a disgregare i princìpi di universalismo, uguaglianza ed equità, erodendo il diritto costituzionale alla tutela della salute. In altre parole, dalla Manovra non emerge alcun potenziamento strutturale del SSN, ma solo il tentativo di risolvere, peraltro in maniera insufficiente e inadeguata, le criticità contingenti».
La Stampa