Una penalizzazione del 4% è destinata a scattare per chi anticiperà la pensione con Quota 104 uscendo a 63 anni con almeno 41 anni di versamenti. A produrre questo effetto il taglio, previsto dalla bozza della manovra, della quota retributiva che per i lavoratori “misti” concorre al calcolo della pensione. Molte le novità del testo: a confronto i requisiti di uscita 2023 e quelli in arrivo per il 2024
Sempre se non ci saranno ripensamenti in extremis, i lavoratori, come già accade ora con Quota 103, potranno comunque anche decidere di non accedere a Quota 104 beneficiando di un “premio”: il mantenimento nella busta paga della trattenuta contributiva del 9,19% a loro carico, sulla falsariga del cosiddetto “bonus Maroni”, che però si riduce fino a circa il 2% nei casi in cui scatta la decontribuzione. Questo bonus, previsto dall’inizio dell’anno, è stato fin qui scarsamente utilizzato, azzerando quasi la sua funzione di incentivo al rinvio delle uscite anticipate. Che con le misure inserire nella legge di bilancio, su cui il Parlamento dovrebbe cominciare a pronunciarsi dalla prossima settimana subiscono, subiscono per tutti i “canali aperti” una stretta praticamente a 360 gradi. E proprio questa stretta è finita nel mirino delle opposizioni, che accusano il governo di disattendere le promesse elettorali, e soprattutto della Cgil.
«Si fa cassa sulle pensioni e viene meno l’impegno di superare la legge Fornero», afferma Lara Ghiglione, segretaria confederale del sindacato guidato da Maurizio Landini. Che aggiunge: «Questa è una delle principali ragioni che ci porterà allo sciopero generale delle prossime settimane». La Cgil critica, tra l’altro, la decisione di far salire (anziché scendere) da 2,5 a 3,3 volte la pensione sociale la soglia alla quale è vincolato l’accesso al pensionamento con 64 anni e 20 di versamenti dei lavoratori interamente ”contributivi”, i cosiddetti ”millennials”. Un intervento che, a meno di correzioni sul filo di lana, si sarebbe reso necessario per garantire la copertura di un’altra misura concepita proprio per i lavoratori “interamente contributivi”: l’eliminazione del vincolo di 1,5 volte la pensione sociale per accedere al pensionamento di vecchiaia a 67 anni. Una sorta di sistema a vasi comunicanti, dunque, vista la difficoltà del governo a reperire risorse. Che fin qui ha anche impedito di irrobustire ulteriormente, oltre l’adeguamento già garantito dall’indicizzazione alla corsa dell’inflazione, le pensioni più basse.
Ma sulle “minime” la partita non appare chiusa. In Fi, al di là delle dichiarazioni ufficiali, si spera che l’assegno possa lievitare fino a quasi 650 euro per gli “over 65” o che almeno possa essere confermata la super-rivalutazione garantita quest’anno agli “over 75”. E non è affatto escluso che un segnale possa già arrivare nella versione finale della legge di bilancio che nel week end dovrebbe essere inviata al Senato per cominciare la sua navigazione parlamentare. In caso contrario la partita dovrebbe riaprirsi proprio a palazzo Madama con una correzione mirata che non violerebbe l’intesa raggiunta nella maggioranza sulla necessità di limitare il più possibile il ricorso a emendamenti.
A confermare che la bozza circolata nei giorni scorsi non è da considerare un testo già chiuso è il ministro del Lavoro, Marina Calderone: «La manovra non è stata ancora depositata, ci sono delle riflessioni in corso», ha detto, aggiungendo: «è una manovra che ha richiesto sacrifici a tutti i ministri, quindi anche al ministro del Lavoro nel momento in cui saremmo stati pronti anche a proporre una riforma delle pensioni di più ampia portata. Oggi, però, è importante anche tener conto dell’equilibrio dei conti».
Anticipi più difficili perché le platee anagrafiche ammesse restano quelle del 2023
A disposizione un anno in più per maturare il requisito contributivo
La norma non interviene sulle regole riguardanti la pensione di vecchiaia che, per chi ha contributi accreditati prima del 1996, si consegue con almeno 67 anni di età e 20 di contribuzione. Invariata anche l’anticipata del sistema misto (cioè sempre per chi ha contributi ante 1996): gli uomini la raggiungeranno con almeno 42 anni e 10 mesi di contributi, indipendentemente dall’età, e dovranno attendere 3 mesi tra la maturazione del diritto e l’erogazione del primo assegno pensionistico. Alle donne saranno richiesti 41 anni e 10 mesi.
Cambia qualcosa per chi ha contributi solo post 1995 o ha scelto il calcolo della pensione con metodo interamente contributivo: alla pensione di vecchiaia si accederà ancora con almeno 67 anni di età e 20 di contributi, ma con un trattamento mensile lordo pari almeno all’importo dell’assegno sociale (quest’anno vale 503,27 euro). Finora, invece, è necessario un importo pari almeno a 1,5 volte l’assegno sociale, in mancanza del quale la persona deve continuare a lavorare o comunque attendere che l’importo salga e, alla peggio, attendere i 71 anni, quando la pensione viene erogata a prescindere dal valore.
Sempre per chi è nel contributivo, diventa invece più difficile l’accesso alla anticipata: non cambieranno i requisiti di 64 anni di età e 20 di contributi, ma l’importo mensile dovrà essere almeno 3,3 volte l’assegno sociale, invece degli attuali 2,8 volte. Una stretta che sorprende, dato che con il contributivo la pensione è calcolata su quanto effettivamente versato e, inoltre, l’anticipata non è accessibile a chi ha optato per il calcolo contributivo ma solo a chi ha contributi post 1995.
Arriva quota 104 al posto di quota 103. Vi si accederà con almeno 63 anni di età e 41 di contributi. Quest’anno, con quota 103, sono sufficienti 62 anni di età e 41 di contributi. Ma chi compie 62 nel 2023 è la leva del 1961, la stessa che l’anno prossimo avrà 63 anni. Quindi alla stessa platea anagrafica si concede un anno in più per arrivare a 41 di contributi. Inoltre tra la maturazione dei requisiti e la decorrenza della pensione passeranno 6 mesi, invece di 3, per i lavoratori del privato e 9 mesi invece di 6 per quelli del pubblico. In tale periodo, o si continua a lavorare, o si resta senza stipendio e senza pensione. Dunque le prime pensioni quota 104 saranno liquidate nella seconda parte dell’anno.
Altra novità, che esula dai requisiti, ma è rilevante, consiste nell’introduzione di nuove modalità di calcolo, penalizzanti, della quota retributiva della pensione (si veda altro articolo in pagina). Se finora chi usa quota 103 riceve una pensione di importo non oltre cinque volte il minimo fino a quando raggiunge l’età per la vecchiaia, anche se ha diritto a di più, dal 2024 sia chi andrà in quota 103 che in 104, avrà un taglio permanente dell’assegno, a prescindere dall’importo.
Opzione donna, piuttosto utilizzata nel recente passato, è già stata azzoppata quest’anno limitandola ad alcune categorie di lavoratrici. L’anno prossimo sarà accessibile a chi compie 61 anni nel 2023. Ma è la stessa platea anagrafica di chi quest’anno vi accede avendo compiuto i 60 anni nel 2022. Quindi, come per quota 103/104, si concede un anno in più per maturare il requisito contributivo minimo, in questo caso pari a 35 anni.
L’ultima modifica riguarda l’Ape sociale, che non è una pensione ma una indennità corrisposta fino al pensionamento a chi si trova in determinate condizioni. Invariati i requisiti contributivi, che oscillano da 30 a 36 anni, con riduzioni per le madri, richiederà almeno 63 anni e 5 mesi di età invece degli attuali 63 anni. Inoltre mentre ora è compatibile con attività lavorativa subordinata o autonoma entro certi limiti di reddito, in futuro sarà cumulabile solo con lavoro autonomo occasionale fino a 5mila euro l’anno.