L’incognita sui tre miliardi di entrate spostate nel 2020 con la proroga dei versamenti di partite Iva e forfetari domina un’altra giornata di tensioni sulla manovra. Una nuova trafila di vertici a Palazzo Chigi e al Mef ha preceduto il consiglio dei ministri, iniziato solo alle 23 per dare il via libera al Draft Budgetary Plan e fare un primo esame dei contenuti del decreto fiscale e di una manovra che punta ad attestarsi intorno ai 31 miliardi. Le tensioni nella maggioranza si concentrano su tetto al contante, abbassamento della soglia di punibilità per i reati fiscali e Quota 100, con i correttivi alle finestre d’uscita che saltano definitivamente. Ma c’è anche un problema di numeri.
Tutto l’impianto è appeso all’escamotage dei tre miliardi spostati sul prossimo anno con la proroga al marzo 2020 dei versamenti previsti a fine ottobre e metà novembre per gli autonomi che hanno scelto di rateizzare. Lo snodo è tecnico, ma cruciale per tenere le coperture della manovra. Queste entrate andrebbero di regola calcolate sui saldi 2019, a prescindere dalla data di incasso. Per blindarne lo spostamento, al Mef si è costruita una norma su misura, che motiva l’attribuzione ai saldi 2020 con il fatto che la certificazione delle entrate extra è stata possibile solo dopo la chiusura della Nota di aggiornamento al Def, quando i saldi 2019 con deficit al 2,2% erano ormai immutabili anche perché votati dal Parlamento. Un argine che punta a superare le possibili obiezioni di Bruxelles.
Il problema nasce in realtà settimane fa, alla vigilia della Nadef. Quando lo stop alle ipotesi di raccogliere entrate aggiuntive da una possibile rimodulazione dell’Iva impone ai conti di aggrapparsi a un obiettivo da 7 miliardi dalla lotta all’evasione. Ma le bozze del decreto fiscale circolate fino a ieri sera si fermano a metà: 3,5 miliardi, peraltro non tutti etichettabili all’antievasione perché del conto fanno parte per esempio le nuove tasse sui giochi, mentre gli aumenti su sigarette, plastica e forse gasolio saranno affidati alla manovra. I tre miliardi “nomadi” dei versamenti Irpef diventano allora decisivi nel far salire il conto fino al livello che serve a coprire gli interventi della manovra. Alla spending review tocca poi il compito di portare fino a 2,5 miliardi aggiuntivi, e un altro miliardo dovrebbe arrivare dalle misure su detrazioni e deduzioni.
Ma non sono solo i numeri, si diceva, ad agitare i vertici di maggioranza. E il confronto promette di tornare ad accendersi presto in Parlamento anche sui temi per ora accantonati. Sulle pensioni Italia Viva promette emendamenti, e lo stesso può accadere sull’abbassamento delle soglie di punibilità dei reati fiscali e sul tetto a mille euro per le transazioni in contante. In questo caso sono i renziani a opporsi, chiedendo almeno un avvicinamento graduale ai nuovi limiti, dai Cinque Stelle filtrano malumori mentre Palazzo Chigi e il Mef spingono.
Dall’incrocio di queste variabili dipenderà il conto definitivo preciso della manovra. Che poggia prima di tutto sui 14,4 miliardi di deficit aggiuntivo che Roma ha negoziato con Bruxelles, oltre al resto delle coperture cercate fra nuove entrate, tagli di spesa e antievasione.
Questo sforzo corale serve prima di tutto per bloccare gli aumenti dell’Iva, che con i loro 23,1 miliardi assorbono da soli il 75% del valore della manovra. Per il resto, inevitabilmente, non resta molto. A fornire l’impronta politica alla legge di bilancio c’è il taglio al cuneo fiscale, che offre 500 euro quest’anno e mille il prossimo ai lavoratori dipendenti interessati. Per gli statali torna in pista il rinnovo del contratto: per le intese che saranno relative al 2019-2021, fra vecchi e nuovi stanziamenti le risorse dovrebbero arrivare intorno ai 3,2 miliardi a regime. In questo caso, sarebbe superata la soglia dei 2,6 miliardi che due anni fa erano stati messi a disposizione dei dipendenti statali per lo scorso triennio (va ricordato che università, regioni, sanità ed enti locali si pagano i rinnovi con fondi propri).
In manovra arriverà poi il fondo per la famiglia, che dovrebbe riunire in uno strumento unico circa 1,5 miliardi oggi sparsi in varie misure aggiungendo 500 milioni nuovi.
Per le imprese, il pacchetto fiscale prevede il rilancio degli incentivi targati Impresa 4.0, il rifinanziamento di Nuova Sabatini, fondo di garanzia Pmi e Bonus investimenti Sud, insieme all’accelerazione sulla progressiva deducibilità da Irpef/Ires dell’Imu pagata sui capannoni. Con il nuovo cronoprogramma, inserito nelle bozze della riforma della riscossione, lo sconto pieno dovrebbe arrivare nel 2022 invece che nel 2023.