Roberto Giovannini. Come sempre, l’ultima parola spetterà a Matteo Renzi. Ma per il momento pare proprio che la manovra prossima ventura contenuta nella legge di Stabilità si attesterà sui 23 miliardi di euro, di cui ben 15 destinati a disinnescare le solite clausole di salvaguardia sull’Iva. E i 7-8 miliardi di interventi possibili saranno imperniati su quattro interventi strategici prioritari (pensioni, investimenti pubblici dei Comuni, sostegno agli investimenti privati, bonus energetico), che affiancheranno alcuni interventi già annunciati (soldi per gli statali, per i salari di produttività, per le assunzioni, per il Fondo per la povertà).
Soprattutto – se tutto andrà come nelle aspettative del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, che in queste ore si sta spendendo per evitare ulteriori complicazioni con la Commissione Europea – la legge di Stabilità 2017 non sarà una dichiarazione di guerra nei confronti di Bruxelles e della Bundesbank.
Pure criticando aspramente la generale linea di austerità incarnata dall’ala rigorista della Commissione, pur rivendicando a viva voce la fondatezza delle richieste di ulteriore flessibilità dei conti a suo tempo formulate, a quanto si apprende da fonti del Tesoro, l’Italia presenterà una manovra rispettosa dei vincoli europei, con un rapporto deficit/Pil 2017 intorno al 2 per cento.
I numeri potrebbero cambiare, si sa. Ma se venissero accolte le indicazioni stilate al ministero di Via Venti Settembre, ben 15 dei 23 miliardi della manovra verranno inevitabilmente ingoiati dalle solite clausole di salvaguardia per evitare la stangata dell’Iva. Non resta moltissimo a disposizione, e per questo la filosofia della legge di Stabilità sarà quella di usare il poco che c’è per rispondere a due esigenze principali. Primo, misure per alleviare una serie di emergenze sociali (e già che ci siamo conquistare consensi). Secondo, un altro pacchetto di provvedimenti per cercare di rianimare gli investimenti pubblici e soprattutto quelli privati, mobilitando con interventi «intelligenti» e poco costosi le risorse non attivate.
Nel pacchetto «sociale», che vale 3,3 miliardi, la voce più significativa è quella relativa all’accordo sulle pensioni con i sindacati. Ieri il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, a L’Intervista di Maria Latella su SkyTg24, ha chiarito che nella legge di Stabilità entreranno le misure sulla quattordicesima, sull’Ape e la ricongiunzione gratuita dei contributi versati in enti disparati, per quasi 2 miliardi di euro. Gli altri punti dell’intesa invece no.
Alla voce interventi per lo sviluppo il governo scommette su misure per favorire gli investimenti pubblici più semplici da attivare e da realizzare: quelli realizzati dai Comuni.
L’anno scorso 500 milioni di stanziamenti concessi da Roma ai sindaci per ripianare i disavanzi misero in moto investimenti per 2 miliardi di euro. Quest’anno si spera di salire a quota 800 milioni-1 miliardo.
Due invece sono le misure ideate per attivare investimenti dei soggetti privati, sempre utilizzando una leva fiscale, e sempre seguendo strade già battute con qualche successo quest’anno. Parliamo innanzitutto dell’ecobonus, lo sconto fiscale del 65 per cento concesso a chi realizza dei miglioramenti energetici nel proprio appartamento. L’idea è consentire – attraverso una serie di meccanismi – che questi ecoinvestimenti possano essere pensati e progettati a livello di condominio. Verrà messo a disposizione un miliardo.
Secondo capitolo, gli sconti per le imprese, su cui si potrebbe arrivare a 3 miliardi. Verrà rifinanziato il “superammortamento” del 140%; verrà attivato il nuovo “iperammortamento” del 250% per chi spende in ricerca e tecnologie smart; e verrà rifinanziato il Fondo centrale di garanzia che copre il credito delle piccole e medie imprese.
Fin qui i progetti allo studio del ministero dell’Economia. Progetti costruiti con una certa attenzione, ma che certo dal punto di vista quantitativo pesano poco, e rischiano di non essere sufficienti a rianimare la stanca e stagnante economia italiana. Per questo Palazzo Chigi spera ancora di riuscire a sfondare il muro dei veti di Bruxelles.
La Stampa – 3 ottobre 2016